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Immagine del redattorePietro Calore

FANTAQUESTIONE EURO2020

Aggiornamento: 30 ott 2021

A Dio importa del calcio?


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In questo giorno di festa per il risultato della nostra nazionale [1], ad un cattolico potrebbe venir spontaneo chiedersi se, alla fin fine, Dio sia coinvolto in questa nostra passione umana e che pensi del fatto che l’Italia abbia vinto.


Innanzitutto va da sé che Dio si interessa di tutto ciò che riguarda la nostra vita: da buon Padre amorevole che desidera la nostra salvezza, Egli osserva la nostra vita, valuta le nostre azioni e le nostre scelte, e così facendo, valuta anche gli oggetti verso cui queste sono indirizzate e rivolte, in modo da intervenire quel tanto che glieNe offriamo l’opportunità.

Per “oggetti” bisogna intendere ogni realtà che si renda oggetto, appunto, del nostro agire morale, ovvero di quel nostro agire fondato sulla valutazione libera di cosa costituisca un bene o un male per noi: dalla pistola, alla macchina, allo sport, alle passioni, passando per gli hobby ecc.

Alla luce del nostro modo d’agire in relazione ai suoi diversi oggetti, in a base a che sia più o meno conforme al non allontanarci dalla salvezza eterna, Dio si interessa di questi oggetti della nostra vita morale o per riproporceli o per distogliercene oppure, infine, per indurci a trarne comunque del bene se si tratta di oggetti indifferenti (“adiafora” avrebbe detto Aristotele”) rispetto al nostro indirizzarci o meno al Cielo.


Consideriamo ora due oggetti “positivi”.

Prendiamo il caso del rosario: Dio proverà sempre a indurci a ricorrervi, così come a il “fare del volontariato”.

Come esempio di due oggetti “negativi” potremmo portare la droga e il “guardare pornografia”: Dio proverà sempre a distogliercene.

Consideriamo ora invece due esempi di oggetti “indifferenti”.

Prendiamo il caso della pistola: nel caso fossimo dei serial killer, evidentemente Dio si interesserà di questo oggetto nel senso di allontanarcene, in un cammino di conversione; nel caso invece fossimo dei poliziotti, Dio se ne interesserà nel senso di indurci ad usarla in modo giusto, proporzionato, così che non diventi per noi strumento per il male ma per la difesa del bene.

Un discorso analogo lo si potrebbe fare per i soldi e ‒ ed era qui che mi interessava arrivare ‒ per il calcio.


Di per sé il calcio, sia nel senso del guardarlo che del giocarlo, è un oggetto della nostra vita moralmente indifferente: può essere vissuto sia per il bene che per il male, dipende da come noi ne facciamo uso. In questo senso, si differenzia dall’esperienza dei giochi gladiatorii antichi, aspramente criticata dai Padri della Chiesa, che comportava l’uccisione in massa di persone e così, da un lato, un gran numero di peccati mortali, (se non da parte dei poveri gladiatori, da parte dei loro commercianti senza scrupoli), dall’altro un compromettersi anche degli spettatori, che peccavano contro la temperanza, traendo piacere da spettacoli di sangue.


Di per sé il calcio, sia nel senso del guardarlo che del giocarlo, è un oggetto della nostra vita moralmente indifferente: può essere vissuto sia per il bene che per il male

Lasciando da parte per un momento il calcio giocato, consideriamo il calcio spettacolo. Dal punto di vista puramente emotivo esso genera tanto piacere quanto dolore, dal momento che ogni vittoria per qualcuno, rappresenta specularmente una sconfitta per qualcun altro: in questo senso Dio non può che considerarlo in modo neutro, non nutrendo preferenze per gli uomini di questa o quella città o nazione.

Dal punto di vista morale, invece, Dio lo valuta in modo più o meno positivo in base a quanto sia il dolore che il piacere che provoca, diano agli spettatori occasioni di virtù: vivere una bella serata in compagnia di amici e parenti, riconoscere i meriti dell’avversario anche se superiore e i demeriti propri, imparare ad avere pazienza e dominio di sé, a frenare gli eccessi d’ira, la lingua ecc.

Allo stesso modo si dica per il calcio giocato: Dio non ama di più una nazione rispetto ad un’altra, per cui non ha alcun interesse chiaro a favorire la vittoria di una squadra rispetto ad un’altra. Ciò che Dio ama è la virtù, l’impegno dell’uomo a mettersi sulla strada del bene. In questo senso, da un lato, possiamo dire in generale che Egli approvi e incentivi il calcio giocato come oggetto della nostra vita morale se, a prescindere dal suo esito vittorioso o meno, comporta salute fisica, esercizio alla collaborazione, alla pazienza, al sacrificio; dall’altro potremmo anche pensare che talvolta Egli agisca provvidenzialmente in favore della vittoria di una squadra se, nell’economia complessiva della salvezza che solo Lui conosce fino in fondo nella dimensione dell’eternità, sapesse che ciò va maggiormente nella direzione del rinforzare la virtù dei calciatori, dell’allenatore e dei tifosi di una nazione, sia grazie alla vittoria ottenuta che grazie alla sconfitta subita.


Nel caso dell’Italia come non pensare alla storia di fede dell’allenatore Mancini [2], per esempio: d’altra parte non credo sia possibile per noi limitati mortali fare considerazioni del tutto certe e precise, sia nel senso della previsione dell’esito di una partita, che della sua spiegazione a posteriori, sulla base di questioni di fede. Se una partita è andata in un certo modo, l’unica cosa certa che possiamo dire, per quanto vaga, è che è bene sia andata così, perché così Dio ha permesso: poi, i motivi veri per cui l’ha fatto, li sa solo Lui, noi è meglio che non speculiamo.


Alla luce di tutto ciò, infine, possiamo trarre un’importante considerazione: non ha senso pregare Dio per la vittoria di una squadra di calcio, né farsi il segno di croce quando si entra in campo come portafortuna.

Piuttosto ha senso pregarLo e farNe il segno perché ‒ in verità come per ogni evento della nostra vita ‒ ci faccia trarre dall’esperienza del tifo o del gioco quanto più bene morale possibile.

Perché solo questo a Lui interessa, del calcio come di ogni altro spetto della nostra vita: il nostro bene.


Ad Maiorem


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