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  • Immagine del redattorePietro Calore

FANTAQUESTIONE n°14

Aggiornamento: 30 ott 2021

Un cristiano può ascoltare De André?


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Certo che sì e, da buon bigotto, a chi non è d’accordo “cercherò l’anima” con un bel cazzotto (cit. "Un blasfemo").


Battute a parte, credo sia esperienza di molti cattolici avvicinarsi dall’adolescenza in poi a grandi autori non solo di ambito musicale (Gaber, De Gregori, Vasco, Guccini…) ma anche poetico (Leopardi, Carducci, Pascoli, Ungaretti, Pasolini…) o letterario in generale (Asimov, giusto per restare in ambito fantascientifico), e di innamorarsene per la maestria di stile, la profondità di contenuto… Eppure al contempo di percepire nel profondo un disagio, latente e crescente, che la bellezza estetica dei suoni, dei versi e delle storie riesce solo ad attenuare e che suona circa così: «Se solo fossero stati cattolici!» o «Cavolo! Se solo avessero conosciuto e messo nelle loro opere le verità della Fede, così sublimi, così elevate! Quanto le avrebbero rese ancora più belle! Piuttosto che esaltare la “vita spericolata”, il controllo delle nascite, l’ateismo, la droga, l’amore libero, ideali anarcoidi…

Un discorso a parte merita ovviamente Leopardi, autore assolutamente non riducibile alla banale categoria di “fautore del nichilismo” e che, in una prossima Fantaquestione, cercherò di mostrare il motivo per cui, benché non fosse credente, abbia comunque reso un gran servizio al mondo scrivendo quel che ha scritto (per quanto io sia convinto che sarebbe stato altrettanto meraviglioso come apologeta cattolico: un secondo Dante? Chissà).


Tornando a noi, insomma, chiediamoci: tale disagio dovrebbe dissuaderci dal continuare a frequentare questi autori?

Ad essere veramente bigotti, qualcuno potrebbe dire che sì: questo fastidio, infatti, sarebbe sintomatico dello stridere dei loro ideali con la nostra fede e quindi, onde evitare di comprometterla con il loro fiele luciferino, sarebbe meglio non ascoltarli o leggerli. Un mood alla Pio IX ‒ diciamo ‒ seguendo il quale dovremmo stilare un bell’elenco di “autori proibiti” e dedicarci solo a quelli cattolici. Salvo poi scoprire però che (già sono pochi…) molti di questi per di più, artisticamente parlando, lasciano per lo meno a desiderare.

Dovremmo rinunciare quindi alla buona musica e alla buona letteratura in nome della fede? Dovremmo temerle per il suo bene? No di certo: credo invece che ragionamenti come questi siano assolutamente inconsistenti e controproducenti. Chi ha fede non la perde per una canzone, una poesia o un libro: se la perde significa che in realtà non ce l’aveva mai avuta. Punto. Su questo sono irremovibile. E banalmente perché, per mia esperienza, ho scoperto che è assolutamente vero quello che la Chiesa e i Santi hanno sempre testimoniato nei secoli, ovvero che la fede si basa ‒ o almeno dovrebbe basarsi ‒ su un’esperienza concreta dell’amore di Dio e dell’incontro con Gesù Cristo Salvatore, rispetto ai quali ‒ spero non me ne abbia a male da lassù ‒ anche Faber [2], simbolo di un certo tipo di grandi cantautori moderni, non può far altro che scolorare decisamente.

Se dunque la nostra fede in Gesù Cristo ‒ che abbiamo sperimentato averci salvato la vita ‒ è solida, «Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?» De André? Figuriamoci! Perché «in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati.» (Rm 8, 35.37)!

Noi Cristiani non siamo del mondo ma viviamo nel mondo (Gv 15, 18-21): credo pertanto ci siano due motivi teologicamente validi per cui non dovremo privarci della bella musica e della bella letteratura anche se non cattoliche.


Chi ha fede non la perde per una canzone, una poesia o un libro: se la perde significa che in realtà non ce l’aveva mai avuta.

Il primo è di ordine ESTETICO.

Il Bello per il cristiano non può trovarsi solo in artefatti che richiamino programmaticamente in modo esplicito le verità della fede: il Bello è una proprietà (un “trascendentale” in termini tecnici) di tutto il Creato, dal quale il Creatore ama trasparire, per amore verso l’uomo [3]. Montagne, orizzonti, tramonti, cieli stellati, quadri, suoni, parole, narrazioni, insomma, tutto ciò che è materiale può essere portatore di “bellezza”, nient’altro che il segno d'amore, la carezza di Dio per ogni uomo. Ecco dunque perché anche «il bene effimero della bellezza» (cit. "Bocca di rosa") dei prodotti umani, presa in se stessa, una volta filtrata da parte dal fruitore di quanto di falso e immorale vi trova a infarcirla, per mano dell’artista di turno, merita di essere comunque gustata: essa esiste e resiste intatta e mirabile oltre le intenzioni stesse di quest’ultimo, dietro il quale ‒ ne sia consapevole o meno ‒ sta l’unico vero Grande Artista. Al punto che non escludo neppure che la bellezza artistica prodotta da grandi artisti morti lontani da Dio, sia comunque valsa a questi come merito nel momento del giudizio davanti al Suo trono, se non un motivo di clemenza: o per lo meno non riesco a non sperarlo ‒ oltre ciò che la fede mi indurrebbe invece a credere ‒ ogniqualvolta una loro opera mi commuove e con la sua bellezza mi rimanda con iol pensiero a Dio, lenendomi così il cuore come balsamo.


Il secondo motivo è di ordine APOLOGETICO.

Il cristiano non dovrebbe mai pensare che alcun pensiero umano possa venire censurato in nome della fede. E questo perché «La nostra battaglia non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti.» (Ef 6, 12). Si deve difendere la fede, certo, ma mai con l’oscurantismo: impariamo dalla storia, santo cielo! Le manie inquisitorie lasciamole ai contemporanei pronipotini di Voltaire e Marx. Se un cantante, un poeta, uno scrittore, vuole usare la musica, la scrittura per esprimere se stesso, i propri sentimenti, il proprio sguardo sul mondo, lo si lasci fare anzi lo si ascolti: ci si lasci interrogare dai temi che pone, li si analizzi, li si confuti se necessario e si rinsaldi così la propria fede contro le sobillazioni del Diavolo. Poi, in pubblico, invece di ricorrere alla scappatoia infida e – questa sì, luciferina, da Giuda ‒ di invocare l’intervento dell’«ordine costituito» (cit. "Bocca di rosa"), non temiamo di testimoniare la verità e di dire anche perché non siamo d’accordo con questo o quell’altro autore, magari ricorrendo agli stessi mezzi culturali e artistici, senza fare brutte copie o imitazioni ripulite ma imparando dall’arte mondana la sua scaltrezza (Lc 16, 8) la sua originalità, la sua genuinità oso dire… La quale sta a dimostrarci come sia possibile esternare ciò che portiamo nel cuore senza essere vinti da ritrosie e timori per il giudizio dei benpensanti ma producendo bellezza.


E allora, se è vero ‒ come ebbe a dire S. Agostino ‒ che la bellezza salverà il mondo, quando riusciremo a fare della nostra testimonianza un’opera d’arte, vorrà dire che avremo reso all’umanità la più grande opera di evangelizzazione possibile a dei semplici uomini, quella che ‒ come le guglie delle cattedrali ‒ sopravvive nei secoli, testimoniando alle generazioni l’Amore di Dio «aere perennius» (Orazio, Odi, III, 30, 1) [1].


Ad Maiorem


Per approfondire:

[1] Autori di Wikipedia, Aere perennius (23 mag 2021). Wikipedia, L'enciclopedia libera. Tratto il 29 Settembre, 15:56 da https://it.wikipedia.org/wiki/Aere_perennius

[2] Autori di Wikipedia, Fabrizio De Andrè (2 set 2021). Wikipedia, L'enciclopedia libera. Tratto il 29 Settembre, 15:56 da https://it.wikipedia.org/wiki/Fabrizio_De_Andr%C3%A9

[3] Catechismo della Chiesa Cattolica §§ 2500-2503.

[4] Dezza E., Itinerarium mentis in Deum: una lettura guidata pp. 246-249 in Forum vol. 4 (2018) pp. 243–273.


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