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Immagine del redattorePietro Calore

FANTAQUESTIONE n°17

Aggiornamento: 13 nov 2021

Cos’è Dio?

Parte seconda – La parola alla ragione!


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La ragione umana cerca sempre – appunto – una “ragione” per tutto. Per capirlo in modo efficace basta considerare il noto paradosso indù "della tartaruga" la quale, nella mitologia indiana, sosterrebbe la Terra, concepita come un disco.

Il paradosso è il seguente: nel momento in cui ci si chieda dove poggi a sua volta la tartaruga che regge il mondo, non importa che risposta si dia, risulterà sempre insufficiente ad ogni intelletto pensante. Mettiamo che la tartaruga poggi sul coccodrillo e che il coccodrillo poggi sulla scimmia, che la scimmia poggi sul cammello e così via… Ogni risposta risulterà sempre insoddisfacente per la ragione. Lo stesso paradosso vale per la nostra concezione moderna dell’universo. Oggi noi sappiamo che tutto originò nel big bang circa 14 miliardi di anni fa. Tuttavia sono in molti, in primo luogo scienziati, che si chiedono «Embè? E cosa c’era prima del big bang?».


Ora la risposta che danno molti, appena acculturati, secondo la quale questo dilemma sarebbe in sé stesso inconsistente, giacché il big bang avrebbe – come ha, in effetti – creato il tempo, per cui non avrebbe senso chiedersi cosa ci fosse “prima” di esso, non è soddisfacente. La singolarità [1] che ha dato il via all’universo e allo spazio-tempo potrebbe essersi creata in condizioni in cui c’era il tempo: potrebbe essere stata il frutto del big crunch, del collasso di una stella, o di una fluttuazione quantistica dell'energia del vuoto di un universo precedente.

D’altra parte, anche dando per buona la possibilità che l’universo attuale sia nato da uno passato, ciò non fa altro che estendere il “problema della tartaruga”: cosa c’era prima di quest’altro universo? Un altro universo? E prima di questo? Un altro universo ancora? Perché no?

Ci rendiamo così conto che la nostra ragione non può dirsi soddisfatta neppure in linea di principio delle risposte che la scienza le potrà mai dare in merito all’esistenza della realtà: di fatto, questa non fa altro che offrirle una “regressione all’infinito”, non dissimile da quella del mito indiano, solo (ben) più sofisticata. Potrebbe essere che ci tocchi rassegnarci, che le pretese di completezza della nostra ragione siano futili illusioni infondate, destinate ad essere semplicemente abbandonate.


Ci rendiamo così conto che la nostra ragione non può dirsi soddisfatta delle risposte che la scienza le dà in merito all’esistenza della realtà

Su questo aspetto devo allontanarmi – ahimè – in parte dalla prospettiva di S. Tommaso d’Aquino, il quale nella prima parte della sua Summa Theologiae (questione 2 articolo 3), tra altri argomenti, argomenta la sua dimostrazione dell’esistenza di Dio proprio negando che si possa regredire all’infinito nella catena causale degli eventi del mondo fisico. Negazione dalla quale inferisce la necessità dell’esistenza di un ente che sia “causa di se stesso”, un ente necessario, la cui essenza sia il proprio stesso esistere [2-3]. Il modo in cui argomenta la negazione della possibilità del regresso all’infinito non mi convince. E d’altra parte non convince più molti. Infatti, fondamentalmente gli deriva dal non aver conosciuto il "principio di inerzia" e la meccanica quantistica, ovvero dal fatto di aver creduto che, senza una causa prima, nulla si muoverebbe e nulla avrebbe mai cominciato ad accadere: in realtà il principio di inerzia mostra proprio che il moto è una condizione, uno stato altrettanto naturale per i corpi che la quiete; mentre la meccanica quantistica descrive la possibilità che eventi estremi (come le singolarità da cui nascono gli universi) possano avvenire senza motivi apparenti, a seguito di fluttuazioni casuali dell’energia del vuoto [4-5].


Tolta quindi questa negazione del regresso all’infinito, va da sé che ogni dimostrazione dell’esistenza di Dio a partire dalla nostra semplice conoscenza del mondo sembra andare… “a farsi benedire”. Pare, infatti, che dalla proprietà di essere infinito nel tempo, sia legittimo attribuire all’universo la proprietà di essere lui stesso un Ente Necessario, andando così a scalzare Dio, che diviene un concetto tutto sommato superfluo.


A questo punto tuttavia ogni uomo ragionevole dovrebbe fare due osservazioni di importanza crescente.

La PRIMA è questa: possibile che la stessa ragione, seguendo i cui principi riusciamo o speriamo in futuro di poter riuscire a conoscere l’intero reale (cosa dalla quale, a tutt'oggi, siamo ben lungi), a un certo punto ci abbandoni in modo così clamoroso? Già, perché pensiamoci bene: il linguaggio della ragione scientifica, fin da quando è stato fissato da Galileo nel XVII secolo, è sempre stato un linguaggio matematico e quindi essenzialmente quantitativo. La scommessa dell’astronomo toscano, infatti, fu proprio quella di dare un nuovo compito alla “scientia”, diverso da quello fino ad allora concepito sul modello di Aristotele: non più ricercare le “essenze” delle cose, adoperando un linguaggio qualitativo, ma solo le loro caratteristiche e relazioni “misurabili” in termini numerici, quantitativi [6].

Ora, consideriamo l’insieme infinito degli universi che sono esistiti ed esisteranno in futuro, tutti legati tra loro dall’onnipresente legame quantitativo spazio-temporale di causa ed effetto, e chiamiamolo Megaverso [7]: è possibile che proprio a questo insieme non si richieda di avere una causa? Non è contraddittorio attribuire a questo Megaverso la proprietà qualitativa della "necessità", che non saremmo disposti ad attribuire a nessuno dei suoi singoli costituenti? In altri termini: se il Megaverso (che per noi è tutto l’Essere, o almeno tutto l’Essere che possiamo conoscere scientificamente) pare così incentrato sul meccanismo naturale spazio-temporale riassumibile nel concetto di “causa ed effetto”, come mai la scienza dovrebbe accettare che il fatto che il Megaverso esista piuttosto che il Nulla non abbia a sua volta alcun motivo, se non una non meglio specificata “necessità”? Significherebbe fare una eccezione logicamente inammissibile. Posto quindi che non la accetti, la ragione scientifica dovrebbe a questo punto ragionare su una “causa” del Megaverso.


Non è contraddittorio attribuire a questo Megaverso la proprietà qualitativa della "necessità", che non saremmo disposti ad attribuire a nessuno dei suoi singoli costituenti?

La conseguenza di una simile riflessione non potrebbe che essere una presa di consapevolezza davvero incredibile: ovvero che la causa del Megaverso non potrebbe essere la causa quantitativa spazio-temporale in azione negli universi che lo compongono: essa, infatti, vi mette in relazione fra loro solo e soltanto “enti”, ovvero “cose che già esistono in termini spazio-temporali”. Occorrerebbe piuttosto pensare una causa che, paradossalmente per noi “non esistesse”, nel senso che non possedesse la spazio-temporalità caratteristica del Megaverso: altrimenti come potrebbe crearla? Occorrerebbe quindi pensare una causa per noi incomprensibile a voler usare la ragione scientifico-quantitativa, e del cui “modo di essere” non saremmo in grado di dire nulla se non in modo negativo, ovvero dicendo quello che non sarebbe: né temporale né spaziale né sottoposto alla comune logica del modo di essere fisico del Magaverso, quindi oltre il "principio stesso di identità e non contraddizione".

Una causa di cui però – pensiamoci – potremmo parlare ricorrendo a un linguaggio qualitativo a questo punto, no? In effetti, proprio il linguaggio che giustamente la scienza non aveva ritenuto buono per parlare del mondo fisico potrebbe essere quello giusto per parlare invece di ciò che dà l’essere a questo mondo.


E il Cristianesimo parla di Dio proprio come, allo stesso tempo, di un Dio “misterioso” (Is 45,15.55, 8-9) – quindi incomprensibile e inaccessibile alla sola ragione umana –, di un Dio che è al contempo fuori e dentro lo spazio ed il tempo, che è assieme Dio e uomo – quindi chiaramente contraddittorio a seguire la logica del modo d'essere del Megaverso – e di un Dio “Padre”, “Amore” – concetti decisamente qualitativi.


La SECONDA osservazione che ogni uomo ragionevole dovrebbe fare quando si volesse attribuire al Megaverso la qualità della “necessità” solitamente ascritta a Dio, si articola nel modo seguente.

Il linguaggio con cui conosciamo il mondo fisico in modo scientifico è matematico, come abbiamo visto. Tutti i teoremi della matematica derivano dalla composizione progressiva secondo una rigorosa logica deduttiva di poche definizioni e assiomi di partenza. La necessità del Magaverso a questo punto potrebbe essere fatta coincidere con la necessità degli assiomi della matematica. Detta altrimenti, se assumiamo in partenza che tutti gli universi del Megaverso si articolino al proprio interno, nell’esistenza dei singoli enti che li compongono, in modo intelligibile da parte di un linguaggio matematico (anche ammettendo che i valori fondamentali e l'assetto stesso delle particelle e delle forze elementari variasse tra l'uno e l'altro), pare legittimo poter dire che la loro stessa complessità alla fin fine sia riducibile a poche fondamentali verità matematiche, e che essi esistono nel modo in cui esistono proprio sulla base da queste: per cui se il Megaverso è necessario, lo deve al fatto che lo siano innanzitutto queste verità matematiche.


La necessità del Magaverso a questo punto potrebbe essere fatta coincidere con la necessità degli assiomi della matematica.

Ora, è mai possibile che si bypassi con tanta tranquillità la domanda: «Ma perché un insieme di infiniti universi dovrebbe obbedire tutto a pochi principi matematici? Il Megaverso non avrebbe potuto essere altrimenti, seguire anche altri principi?»?

Se non la si vuole bypassare tocca darle due risposte: o ammettiamo che potrebbe non essere così oppure che non potrebbe essere così, magari volendo preservare la pretesa della scienza di essere un linguaggio veramente universale, una sorta di passepartout della realtà, cosa che verrebbe meno nel caso della prima risposta.

Ora, ai nostri fini, in verità, che si dia l'una risposta piuttosto che l'altra non cambia. In entrambi i caso, tocca accettare che sia ammissibile l'esistenza di un modo di esistere diverso dal Megaverso, o "parallelo" al Megaverso, con la prima risposta, o all'origine del Megaverso, con la seconda risposta. Un modo di essere che abbia “causato” gli assiomi della matematica (spiegando così la loro universalità senza attribuire loro una qualitativa e quindi incoerente "necessità") e nel quale viga un altro linguaggio rispetto a quello matematico. Un modo di essere certamente per noi pensabile in modo solo formale e negativo, non concreto né positivo, ma tuttavia pensabile. Il linguaggio di questo “Iperverso” (ripeto: un modo di essere oltre il Megaverso), non sarebbe assolutamente conoscibile con rigore da noi (dal momento che il linguaggio più rigoroso che possediamo è quello della matematica) se non in termini negativi, ovvero concependolo appunto come un modo di esistere non matematico o meglio, oltre la matematica, che non per nulla si trova a creare.

E il Cristianesimo parla di Dio proprio come essenzialmente al contempo uno e trino: il che appare irragionevole alla nostra pura ragione matematica ma ora, dopo questa osservazione, non poi così insensato... no?


Giungiamo così alla fine della via della ragione per comprendere Dio. Essa non ci ha portato a dimostrare che esiste ma a comprendere che non è assurdo pensare che esista. Inoltre ci ha portato a dare a Dio dei precisi attributi negativi, legittimamente “misteriosi”, in quanto tali solo dal nostro punto di vista: la non spazio-temporalità, il fatto di andare al di là della logica e della matematica, e quindi, alla fin fine, la sua assoluta inconoscibilità da parte nostra.


D’altra parte, infine, c’è un’ultima e TERZA osservazione che la via della ragione ci porta a fare, probabilmente quella decisiva: ovvero che l’Essere al di là del tempo e dello spazio, della logica e della matematica, è qualcosa di talmente altro rispetto a noi che non è neppure da escludere la possibilità più assurda di tutte, cioè che sia esso stesso a volersi rivelare a noi.

E il Cristianesimo assieme alle altre due religioni monoteistiche sono le uniche religioni al mondo che non si presentano come un tentativo di approccio umano a Dio, ma (facendo una sintesi delle due osservazioni fatte finora) come un moto d’Amore di Dio Misterioso verso l’uomo, ovvero come una sua rivelazione, che o si crede o non si crede.


Ed è così che dove finisce la via della ragione inizia – in modo del tutto ragionevole – quella della fede.



Ad Maiorem


Per approfondire:

[1] Autori di Wikipedia, Singolarità gravitazionale (20 Dicembre 2020). Wikipedia, L'enciclopedia libera. Tratto l'11 Novembre, 23:30 da https://it.wikipedia.org/.../Singolarit%C3%A0_gravitazionale

[2] Autori di Wikipedia, Motore immobile (19 Febbraio 2021). . Wikipedia, L'enciclopedia libera. Tratto l'11 Novembre, 23:30 da https://it.wikipedia.org/wiki/Motore_immobile

[3] Autori di Wikipedia, Le cinque vie per dimostrare l'esistenza di Dio (15 Ottobre 2021). L'enciclopedia libera. Tratto l'11 Novembre, 23:30 da https://it.wikipedia.org/wiki/Tommaso_d%27Aquino?fbclid=IwAR0BHRUhs6P_kFOsWQnk6NpNe_OJo-9Y0-IJhNh0nm1gl4A5WVDtbhbLZ2k#Le_cinque_vie_per_dimostrare_l'esistenza_di_Dio

[4] Bamonti N., Cronache dal silenzio (2020), La nascita dell’universo dal NULLA : possibile? [ultima consultazione 11/11/21].

https://www.cronachedalsilenzio.it/2020/02/05/la-nascita-delluniverso-dal-nulla-possibile/

[5] Vilenkin A., Creation of universes from nothing, Physics Letters B, vol. 117 (1982), pp. 25-28.

[4] Autori di Wikipedia, Galileo e la scienza (9 Novembre 2021). L'enciclopedia libera. Tratto l'11 Novembre, 23:30 da https://it.wikipedia.org/wiki/Galileo_Galilei?fbclid=IwAR2BaTUM564tU2RFbuNR6L9_DRdwQxLQKoa4kc6V3N8icadsB9hX8p52H7Q#Galilei_e_la_scienza

[5] Vecchia A., CoseDiScienza.it (2017), Il megaverso [ultima consultazione 11/11/21]. https://www.cosediscienza.it/il-megaverso

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