Dante può cambiarti la vita? ‒ Speciale Dantedì [1]
Oggi che è il Dantedì 2021 colgo l'occasione per rispondere chiaramente "sì" e raccontarvi in breve la mia esperienza.
Avevo 16 anni. Ero un comune studente al terzo anno di liceo classico, facevo i compiti e portavo a casa la pagella in modo più che discreto. Posso dire che fosse già nata in me una certa passione per il latino e per il greco. Sentivo però che mi mancava una motivazione forte per l’area umanistica: italiano, letteratura, poesia, epica… mi annoiavano! Non percepivo che mi dessero qualcosa, che in qualche modo mi arricchissero. Infine, nonostante l’età, avevo comunque mantenuto una certa vita di fede e di preghiera.
Poi, appunto, in prima liceo (cioè... al terzo anno di superiori), è cominciato lo studio scolastico della Divina Commedia: la conoscevo già per sommi capi, grazie ad una meravigliosa riduzione per ragazzi che avevamo in casa, corredata da meravigliose illustrazioni ad acquerello che avevano popolato il mio immaginario fin dall’infanzia. Al di là di questo però non l’aveva mai letta personalmente.
Non ricordo chiaramente come reagii le prime volte che abbi modo di approcciarla “dal vivo”: sono sicuro tuttavia che, fin da subito, in qualche modo mi accattivò. Iniziai anche a guardami le letture di Benigni [2] e Gassman [3] su YouTube. Poi avvenne qualcosa.
Un pomeriggio, come era mio solito, stavo leggendo sdraiato sul letto di camera mia: la cosa strana era che stavo leggendo la Divina Commedia, in particolare la cantica del Paradiso. Forse ero curioso di scoprire come andava a fine la storia. Mi ricordo solo che quando lessi il Canto XXXIII, in particolare il crescendo della sua seconda metà: «Così la neve al sol si disigilla… ciò che per l’universo si squaderna… O luce etterna che sola in te sidi,… l’amor che move il sole e l’altre stelle.» alla fine scoppiai in pianto.
Il pensiero di Dio e del Suo Mistero d’Amore, suscitato in me da quei versi nella forma di una sorta di stretta allo stomaco, al cuore e al cervello ‒ non saprei descriverla meglio di così ‒ mi aveva commosso e sconvolto in un modo che mai mi era capitato prima nella vita. Mi sembrava di star vivendo l’esperienza di ineffabile estasi descritta dal Sommo Poeta: mi pareva di cadere in un abisso luminoso d’amore che tanto più mi sovrastava tanto più mi abbracciava.
(Se volete capire perché anche un testo non biblico o non canonicamente ispirato possa comunque essere un canale di comunicazione della nostra anima con Dio, rimando a un video fatto in precedenza, ispirato alla bellezza delle canzoni di De Andrè)
Durò non poco e ne uscii trasformato. Da allora scoprii molte passioni rimaste in me latenti fino a quel momento: per la sfortuna dei miei amici, cominciai a scrivere poesie (per rendere l’idea, quell’anno finii per scrivere un poema di 1890 versi, magari un giorno ve ne parlerò…); mi appassionai davvero alle materie umanistiche, tra cui la filosofia, che poi avrei studiato all’università e che ora è il mio lavoro; ma soprattutto la mia fede nel Dio Amore ne uscì irrobustita.
Ancora oggi, infatti, come quel pomeriggio di tanti anni fa, a 800 anni dalla sua morte, ogni volta che ne sento il bisogno, Dante mi accompagna coi suoi versi ad incontrare quel Dio che è croce e... delizia della mia anima.
Provare per credere.
Ad Maiorem
Per approfondire:
[1] https://www.youtube.com/watch?v=m_b0szECUlE&t=191s
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