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  • Immagine del redattorePietro Calore

FANTAQUESTIONE n°31

Aggiornamento: 18 lug 2022

E se Maria avesse detto no?



La questione è spinosa e va ben oltre il solo caso di Maria, che ho preso solo come spunto. Potremmo fare molti atri esempi: e se Pilato si fosse accontentato (su pressioni della moglie?) di far flagellare Cristo e lo avesse salvato, come i Vangeli stessi ci dicono volesse fare? E se Giuda non avesse tradito? E se Adamo ed Eva non avessero peccato? E se Satana non avesse rinnegato Dio? E se, e se... Tutti questi interrogativi inducono a chiedersi se la Storia della Salvezza non sia stata per Dio un ripiego, una sorta di “piano b” a fronte della devianza degli angeli e degli uomini, la quale avrebbe impedito il realizzarsi di un “piano a” in cui tutto sarebbe andato bene, non sarebbe esistito l’Inferno ecc. e se Dio non avesse o addirittura abbia pronti a tutt'oggi e per il futuro dei “piani c, d, e…” in base alle diverse libere scelte di ciascun essere umano. Ma poi, non potrebbe essere la stessa Storia della Salvezza così la conosciamo un intreccio di “piani c, d, e…”? Maria stessa – per esempio – non avrebbe potuto essere una seconda scelta a fronte del rifiuto di un’altra donna? Sono tutte domande – me ne rendo conto mentre le formulo – che destabilizzano ed ingenerano un forte conflitto interno: da un lato la fede mi induce a scartarle come assurdità, dall’altro la ragione me le mostra nella loro (almeno apparente) ragionevolezza e mi impone di cercare delle risposte razionali che, risolvendole, salvi la coerenza del sistema teologico cristiano. Lanciamoci allora all’assalto!


Il principio teologico attorno a cui girano tutti questi "what if?" e che li rende legittimi è quello – come è noto – del LIBERO ARBITRIO, sulla base del quale, da cristiani, dobbiamo tenere per vera questa affermazione: ogni personaggio biblico avrebbe potuto agire diversamente da come ha agito. Sì, Maria avrebbe potuto dire di no all’arcangelo Gabriele, Pilato avrebbe potuto salvare Gesù, Adamo ed Eva avrebbero potuto dire di no al serpente ecc. Prese in se stesse, tutte queste scelte sono state assolutamente libere e avrebbero potuto avere esiti diversi.


Sono tutte domande – me ne rendo conto mentre le formulo – che destabilizzano

Tuttavia inferire da questo che Dio avesse un “piano a” di partenza che poi avrebbe dovuto “aggiustare” in corso d'opera a seguito delle devianze delle sue creature è un’eresia. Come mai? Perché questa idea viola un altro principio teologico irrinunciabile, quello della ONNISCIENZA divina. Dio in quanto Creatore Onnipotente, nella sua condizione di eternità, ovvero di perenne presente, ha sempre davanti agli occhi tutta la storia umana dal suo inizio alla fine in tutti i suoi particolari, come un regista che contempli svolta davanti a sé la pellicola di un suo film. Dio quindi ha creato gli angeli e "poi" l’uomo, nella consapevolezza che avrebbero liberamente peccato: quel che si deve dire però è che Dio non volesse questo peccato.

"Ma se non lo voleva – potrebbe dire qualcuno – allora perché non ha scelto, piuttosto, di non creare nulla?" oppure "Perché non ha creato un mondo in cui il male non fosse possibile, senza con ciò annullare la possibilità di un vero bene?"

Beh una volta che si conceda che Dio esista, non si può negarGli la proprietà di essere impeccabilmente Buono e Giusto. Se ne deve dedurre, quindi, che l’unico ed infallibile “piano a” di Dio, quello che leggiamo nella Bibbia, è stato motivato nella Sua Mente eterna da almeno tre valutazioni:

1) che tale "piano a" avrebbe rappresentato un bene eguale allo scenario in cui non fosse esistito nulla;

2) che Dio non voglia pensare un concetto di "bene" che non sia legato alla libertà e quindi senza la contropartita della possibilità del male;

3) che Egli, proprio da queste devianze, al pari di “se fosse andato tutto bene”, grazie alla propria onnipotenza, sarebbe comunque riuscito a trarre il medesimo massimo bene.

Ovviamente, quando si parla di "generare", "trarre" – e quindi implicitamente di "privare", "perdere" – bene, si intende solo ed esclusivamente dal punto di vista delle creature, dal momento che Dio possiede in se stesso già una beatitudine indefettibile a cui la creazione non ha aggiunto né sottratto nulla.

Dio, anche a fronte di queste tre "valutazioni", non sembra venirne ancora giustificato ai nostri occhi.

Come spiegare infatti la valutazione 1)? Sembra molto dura da spiegare senza dissentire col Creatore, perché di fatto – come suggerisce inevitabilmente l’infallibile giudizio di Dio che Lo ha portato a pronunciare il “fiat” primigenio – obbliga a pensare che, dal punto di vista di Dio – come è crudo da dire! – il rischio di vivere l’eternità all’inferno (angeli o uomini non importa) rappresenterebbe per le creature un bene eguale al non esistere, al non essere chiamati all’esistenza!

Dico “eguale” e non "minore" né “maggiore” perché è un terzo principio teologico irrinunciabile quello per cui Dio è stato assolutamente LIBERO nella sua scelta di creare il mondo: se il crearlo avesse rappresentato per le creature un bene maggiore o minore rispetto a non crearlo, staremmo surrettiziamente suggerendo una necessità di Dio nello scegliere di crearlo piuttosto che no e viceversa, dal momento che Dio opera sempre per il bene e non Gli si addice di operare in vista di un bene minore a fronte di una altro maggiore possibile.

E perché mai poi Dio – che è Onnipotente e Buono – non dovrebbe volere un concetto di bene slegato dalla libertà e quindi dal rischio del male, come al punto 2)?

Infine, come non vedere del tremendo cinismo in tutto questo, nel creare un mondo in cui le creature si assumono tutti i rischi e più di qualcuna si compromette per l'eternità, tanto poi Lui tira fuori il coniglio dal cilindro e passa tutto in cavalleria come al punto 3)?


Ma poi, non potrebbe essere la stessa Storia della Salvezza così la conosciamo un intreccio di “piani c, d, e…”?

Devo premettere che la risposta che sto per proporre per "giustificare" Dio non credo sia attribuibile in toto a nessun teologo né documento magisteriale – che io almeno conosca – e che d'altra parte non mi sembra eretica, semmai una pista interessante da sviluppare che non pretende di essere esaustiva, al più originale. Ad ogni modo, nel corso dell'argomentazione, segnalerò precisi passaggi delle "Confessioni" di S. Agostino e della "Summa Theologica" di Tommaso D'Aquino e che potranno garantire il mio costante agganciarmi alla migliore tradizione teologica.

Devo inoltre precisare che con questa risposta non pretendo di rendere del tutto non problematica per la nostra sensibilità la comprensione dell'agire di Dio ma soltanto trovare lo schema concettuale che permetta di renderlo alla nostra vista più coerente, consistente, restringendo il ruolo del "mistero" più in là possibile, mentre – a mio parere – la teologia lo fa intervenire troppo presto nel tentativo di sciogliere questi problemi.


Arriviamo al punto. La risposta ai dubbi sollevati dalle inevitabili considerazioni che deve aver fatto la Sapienza Divina nell'eterno istante della Creazione mi sembra che passi per quella che – per Rivelazione – sappiamo essere la Natura Divina: una comunione di libere relazioni d'amore.

La Rivelazione ci dice molte cose su Dio: che è perfetto (quindi onnisciente, come abbiamo visto, onnipresente e onnipotente), che Dio è causa sui, causa di se stesso – e fin qui si limita a confermare la ragione -– ma poi in particolare – e qui va oltre la ragione – che Dio è amore libero tra le tre persone trinitarie, e che quindi è causa di se stesso nel senso che vuole se stesso, e che si vuole così com'è, altrimenti sarebbe diverso, essendo onnipotente.

Un corollario di questo ragionamento è che, se Dio – Essere Perfetto – si vuole nella forma dell'amore libero, l'amore libero deve essere un Bene perfetto adeguato a Lui, altrimenti Dio si vorrebbe diversamente.

Ora, ogni atto di volontà di Dio deve essere considerato libero, nel senso di non avere una qualche ragione esterna a Dio stesso che lo motivi e quindi renda necessario a Quest'ultimo voler agire in un modo piuttosto che in un altro: in questo senso la volontà di Dio è pienamente autonoma, libera per l'appunto.

Se la libertà in Dio è premessa della Sua stessa volontà, lo è anche del Suo amare.

Se ne deduce che, solo ed esclusivamente in ordine logico, Dio si vuole (e quindi è) in prima istanza una libertà; libertà che, in seconda istanza, si muove ad amare, dando seguito alla Sua primordiale volontà di essere "amore libero".


Non stiamo dicendo nulla di diverso da prima: Dio è e rimane amore che opera liberamente; stiamo solo chiarendo che "l'essere libero" deve rappresentare in Dio un aspetto antecedente (solo dal punto di vista logico!) rispetto all'"amare" nel momento in cui Lo approcciamo dal punto di vista analitico. Per cui, per essere più esatti, occorrerebbe correggere l'espressione usata sopra: più che "amore libero", Dio è "libertà che ama"; ancora meglio, a stornare da noi ogni dubbio di voler individuare in Dio una molteplicità, in una parola Dio è "volontà".

Affermando che Dio è "volontà", comprendiamo come Egli rimanga semplice pur potendo distinguere in Lui – in modo puramente logico – il momento della libertà, prima, e dell'amore, poi: nel concetto di "volontà", infatti, sono analiticamente inscritti, a mo' di endiade, nel medesimo ordine logico, quelli di "libertà" e di "amore", giacché non può esistere, secondo il suo concetto, una volontà che, da un lato, in prima istanza, non sia libera e, dall'altro, in seguito, non muova la propria libertà, amando, in direzione di un "bene" considerato come "fine".


Se dunque Dio è "volontà" ed è causa sui volendo se stesso come Bene perfetto, se ne deduce che Dio consideri come Bene perfetto l'essere "volontà", ovvero l'essere capaci di libertà nell'amore. Dalla qual cosa si deduce ulteriormente che nel momento in cui Dio ha voluto creare altre volontà oltre la Sua, non voleva far altro che propagare (senza aggiungervi niente, sia chiaro, dal momento che nessun bene creaturale aggiunge nulla all'infinito Bene divino) il Bene che Lui stesso è, l'essere capaci di libertà nell'amore; Bene che porta analiticamente in sé il rischio che tali volontà altre rispetto a Lui liberamente non direzionino il loro amore verso Dio ma verso altro da Lui, in una parola, il rischio del male.

Ma un male – ora possiamo comprenderlo – che può affliggere le creature senza che Dio lo voglia o lo desideri in alcun modo, in modo totalmente indipendente dalla Sua volontà, in modo esclusivamente soggettivo; un male cioè dalla consistenza ontologica nulla, "esistendo" solo nella prospettiva delle creature, consistendo nella lancinante sofferenza conseguente al loro uso dell'amore che li porta ad auto-privarsi liberamente della compagnia dell'amore Dio; un male che – a questo punto – non è in grado di scalfire ontologicamente il Bene che è Dio, ovvero di gettare su di Lui ombre di malvagità e cinismo, come temevamo: se Dio è volontà e si vuole così, l'aver voluto creare altre volontà, altri esseri capaci di volontà, rappresenta in se stesso un Bene, una riproduzione del Bene assoluto che Lui è, Dio-Libertà-Amore, cioè Dio-Volontà.

Da questa prospettiva, infatti, sia noi, quando pecchiamo, che i dannati, quando rifiutano liberamente Dio, patendo così il male che ci tiriamo da soli addosso sia qui sulla terra che all'inferno, per il fatto di star esercitando la nostra libertà nel direzionare l'amore, in effetti stiamo ancora "partecipando di Dio", compiendo, vivendo, realizzando esistenzialmente comunque il Bene perfetto che Lui vuole precipuamente essere e quindi vuole per noi, ovvero l'esercizio della libertà nell'amare, in un modo tuttavia che attira a noi e a loro del male – come dire – "succedaneo", che non intacca per noi e loro il Bene metafisico assoluto – più di tutti voluto da Dio, con cui Dio Stesso si identifica – di espletare la nostra libertà nell'amare, il che avrebbe reso la nostra non esistenza un bene maggiore e quindi preferibile agli occhi di Dio.


Affermando che Dio Padre è "volontà", comprendiamo come Egli rimanga semplice pur potendo distinguere in Lui – in modo puramente logico – il momento della libertà, prima, e dell'amore, poi

Giunti fino a qui possiamo dire quindi di aver risolto, in ordine, i punti 2), 1).

Dio ha creato il mondo a seguito di un proprio libero moto di volontà conoscendone "già" la storia dall’inizio alla fine, sia nei suoi aspetti buoni che cattivi, frutto delle libere scelte d'amore delle sue creature

D'altra parte l’ha creato sapendo di fare alle creature comunque del bene eguale rispetto a non crearle, creandole come volontà capaci di libere scelte d'amore, quindi partecipi senza aggiungervi nulla del Bene assoluto che Lui è, e rispetto a cui ogni male che derivi dalla loro scelte d'amore a Lui contrarie, non solo non è imputabile a Dio ma non è neppure ontologicamente un male tanto quanto è Bene il fatto di compierle, espletando la libertà d'amare, bensì piuttosto "solo" una non corrispondenza e una non adesione all'Amore divino. Un male che inizia e finisce a livello nostro, dall'origine puramente creaturale, non in grado ontologicamente e assiologicamente di venir opposto al Bene perfetto, divino, dell'espletazione della libertà d'amare. Un male che, per assurdo, potremmo anche smettere di chiamare tale, giusto per non creare fraintendimenti, a vantaggio di lemmi come "non bene", "non amore per Dio", "odio verso il Creatore", al pari di tutte le conseguenze in fatto di sofferenza per noi e per il Creato che la storia umana ci testimonia.


Insomma, mi sembra che con questa mia rielaborazione della compossibilità di onnipotenza e Amore divini, libertà e male umani, non sia più imputabile a Dio l'incapacità, se non il cinismo di non voler creare un mondo in cui convivano solo Bene e Libertà: di fatto è quello che Dio ha compiuto, se comprendiamo fino in fondo come Lui non abbia fatto altro, fin dalla creazione del mondo, di volere la "libertà d'amare", la "volontà", come Sommo Bene, come Bene perfetto, per sé e le creature, senza mai negarcelo e senza che noi potessimo mai privarcene.

Inoltre, mi sembra che il ruolo del "Mistero" giochi in questa mia rielaborazione teologica un ruolo molto più residuale rispetto ad altre concezioni ben più famose: al netto del fatto che, per precisi motivi gnoseologici di cui ho parlato nella Fantaquestione 17, il concetto di Dio non solo non può essere estraneo alla ragione, ma per essere pensato deve portarsi dietro del mistero, quindi, che ci sia, non rappresenta nulla di male, di fatto, l'unico Mistero che rimane è perché Dio esista come "volontà", dal momento che tutto quanto abbiamo detto ne consegue e si tiene con rigida coerenza; d'altra parte, si tratta questo, del pensare Dio altrimenti che "volontà", di un pensiero molto più arduo e complesso per attaccare Dio dei tre beffardi interrogativi di cui sopra.

Pensare "Dio" come altro rispetto ad una volontà, infatti, non risulta possibile per una mente umana a meno di ridurlo a qualche forza panteistica impersonale, anch'essa non priva di problemi concettuali da risolvere (e a mio modo di vedere, anche più insormontabili, tanto da rendere preferibile l'ateismo piuttosto).


Si osservi, inoltre, come questa mia rielaborazione della compossibilità di onnipotenza e Amore divini, libertà umana e male rende perfettamente conto di dottrine tradizionali – forse anche meglio che rielaborazioni del passato – come il fatto che il peccato umano non leda in alcun modo Dio ma lo offenda, e come non renda comunque in alcun modo possibile negare l'inferno.

Sì perché, da un lato, abbiamo collocato il peccato nel suo posto di schiaffo all'Amore di Dio, conseguente al direzionamento del nostro altrove rispetto che a Lui, schiaffo comunque non in grado di opporsi o di privarci del Bene Perfetto che Egli vuole per noi; dall'altro non si deve perdere di vista il fatto che noi abbiamo identificato l'affermazione di "compiere il Bene perfetto" con l'"esercitare la propria volontà", sia che ciò consista nel voler auto-allontanarsi da Dio sia che nel voler aderire al suo Amore: per cui, non si può farmi dire che, poiché dal mio punto di vista anche i malvagi alla fin fine con le loro azioni partecipano del Bene perfetto che è Dio-Libertà-Amore, allora tutti dovrebbero andare in Paradiso!

No no, anzi, nella mia prospettiva, in modo coerente, Dio proprio volendo il Bene dei malvagi non vuole negar loro la possibilità di andare liberamente all'Inferno, ovvero di esplicare la propria libertà nell'amore andando liberamente sempre più lontani da Lui, per quanto mai fuori da Lui (un altro dato del magistero di cui rendo perfettamente conto).


Questa mia rielaborazione non nega poi il dato biblico per cui Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati, e che vengano alla conoscenza della verità» (1 Timoteo 2, 4): per quanto ho detto finora, infatti, Dio è sia Amore Perfetto che Libertà Perfetta, per cui, coerentemente, vuole per ogni creatura che al Bene dell'agire liberamente si sommi il bene di godere del Suo Amore: tuttavia, trattandosi anche questo bene dei beati, come il male dei dannati, di un che di creaturale, limitato, che non aggiunge nulla, il bene, né toglie alcunché, il male, al Bene divino perfetto ed infinito in sé, né tale bene dei beati né specularmente il male dei dannati sono in grado di rendere preferibile a Dio che tutti si salvino piuttosto che no, giacché, nella sua "libertà che ama", Dio vuole come Bene perfetto per sé e quindi per tutti innanzitutto che ciascuno eserciti la propria libertà nell'amare. Dio dunque vuole che tutti amino e quindi che tutti si salvino ecc. ma lo fa in coerenza con il primo atto volitivo di voler essere amore libero Lui e quindi noi.

Il prezzo da pagare, in effetti, a questo punto non è né cinismo da parte di Dio (a cui finora abbiamo attribuito di volere solo il Bene perfetto della libertà d'amore, che in effetti non ci è mai negato) né un male se non creaturale, effimero, inconsistente dal punto di vista ontologico, effetto prospettico della nostra posizione creaturale.


Insomma, mi sembra che con questa mia rielaborazione della compossibilità di Amore divino e libertà umana, non sia più imputabile a Dio l'incapacità, se non il cinismo di non voler creare un mondo in cui Bene e Libertà non stanno assieme.

E così, infatti, arriviamo al punto 3): pensare la Provvidenza Divina non risulta poi così difficile una volta che si capisca che il male che Dio è chiamato a risolvere – frutto dalle nostre libertà di amare, a partire dalle conseguenze del peccato originale, quindi anche quello naturale ed innocente – è un male che Lui mai ha voluto, che non ha mai cinicamente considerato un male maggiore rispetto a non esistere per le Sue creature e che non si erge contro di Lui come un nemico di pari grado che deve scansare a forza di "piani b" ma semmai, come dice il salmo «come pula che il vento disperde» (Sal 1, 4b): non possiamo avere dubbi che nella sua onnipotenza divina egli possa “scrivere dritto su tali righe storte". D'altra parte Dio, risolvendo con la Provvidenza tale male creaturale in bene creaturale, nuovamente non aggiunge ancora nulla al Bene Perfetto della libertà d'amare, per cui anche l'idea di Provvidenza non deve aver reso per Dio la creazione un bene preferibile alla non creazione, e la Sua libertà non ne risulta ancora scalfitta. Satana, Adamo, Maria, Pilato, Giuda… avrebbero tutti potuto agire diversamente ma Dio sapeva da «prima della creazione del mondo» (Ef 1, 4) come avrebbero agito, quindi non aveva piani b, c, d… di riserva: piuttosto, nell'attimo eterno della creazione attenendosi a quanto sapeva che avrebbero deciso le singole libere volontà creaturali, Egli sapeva di poter comunque “fare di necessità virtù”, senza con ciò tirare un brutto scherzo alle creature, che non obbligava a entrare in un gioco in cui sarebbe stato meglio non entrare e in cui comunque avrebbero potuto partecipare del Bene perfetto della Libertà d'Amore.

A riprova dell'onniscienza divina stanno le profezie dell’Antico Testamento in merito al Messia, al fatto che sarebbe nato da una vergine, che sarebbe appartenuto alla stirpe di Davide, che sarebbe morto crocifisso e risorto, che avrebbe rinnovato ed esteso l’antica alleanza a tutta l’umanità ecc. Profezie che Gesù stesso ha riferito in modo esplicito a se stesso citandole agli Apostoli quando li avvertiva del destino cui sarebbe andato incontro a Gerusalemme (senza che loro capissero nulla), se non proprio durante la passione, al sinedrio, in croce, o dopo la resurrezione come per esempio con i discepoli di Emmaus. Come si potrebbe spiegare tutta questa abbondanza di profezie (tanto antiche quanto esatte) se Dio avesse voluto tenersi le mani libere per mettere in opera piani diversi in base alle circostanze? Nel caso specifico di Maria, poi, pensare che si sia trattato di un “ripiego” crea molti altri problemi che di fatto espongono chi lo creda a un certo numero di eresie: per lo meno dal 1950, noi cattolici dobbiamo credere con assoluta certezza che Maria, proprio in vista dell’Incarnazione, sia stata concepita senza peccato originale: forse che Dio, nel momento in cui concedeva questo privilegio a Maria, non sapesse che avrebbe detto di sì? Se non l’avesse saputo (e già pensarlo è un’eresia) saremmo costretti a pensare che Dio abbia creato un certo numero di immacolate concezioni, spose di un certo numero di appartenenti alla stirpe davidica, sperando che almeno una avrebbe detto di sì. Ma anche arrivando a pensare una tale enormità, costui non sarebbe riuscito ancora a risolvere il problema in modo definitivo: e se infatti avessero detto tutte di sì? E se invece nessuna avesse accettato? Ci sarebbero state più Incarnazioni? Non ce ne sarebbe stata nessuna? Un Dio così approssimativo non è Dio.


No… dopo aver proposto una valida soluzione alla compossibilità di onnipotenza e bontà divini e libertà e male umani, rimane in effetti da chiarire meglio di quanto già fatto, solo il problema della conciliabilità di Prescienza divina e libertà umana.

In realtà, a me personalmente è sempre sembrata una diatriba molto oziosa, propria di menti tutto sommato limitate, incapaci di cogliere il rapporto tra eternità e tempo: abbiamo già chiarito con l’esempio del regista, in che rapporto Dio stia con il tempo. Il fatto che Lui sappia nell’eternità l’accadere di un atto libero (solo ed esclusivamente dal nostro punto di vista temporale “prima” che questo avvenga), non toglie nulla alla libertà di quell’atto, rispetto a cui, in realtà, è come se Egli fosse presente a guardarlo quando accade.

D’altra parte, se qualcuno non fosse ancora stato persuaso dal mio accenno della perfetta conciliabilità tra libertà umana e Prescienza divina (termine comunque che non amo per nulla, dal momento che genera confusione, quasi che Dio vivesse nel tempo, e a cui appunto preferisco “onniscienza”), mi sembra utile allora riportare qui come il filosofo tardo-antico Boezio argomenti in proposito, in termini a mio parere definitivi, nella celebre opera “La consolazione della Filosofia” (Lib. V cap. V):


Esistono, infatti, due tipi di necessità: una è semplice, come quella per cui è necessario che tutti gli uomini siano mortali, l’altra condizionata, come quella per cui, se tu sai che uno cammina, è necessario che costui cammini. Quello, infatti, che ciascuno conosce non può essere diverso da come costui effettivamente lo conosce, ma questa condizione non implica affatto l’altra, quella assoluta. […] Pertanto avverranno sicuramente tutte le cose che Dio conosce in anticipo che avverranno, ma alcune provengono dal libero arbitrio, ed esse, sebbene avvengano, tuttavia non perdono, con l’esistere, la propria natura [libera ndr], in base alla quale avrebbero anche potuto non avvenire prima che si attuassero.


Ed è proprio di questa necessità "condizionata" che si giovano le profezie bibliche di cui abbiamo parlato e quindi gli eventi da esse descritti. Non è possibile negare tuttavia che, oltre e più che la prescienza divina, le profezie bibliche effettivamente formulate a livello del tempo pongono altri problemi da risolvere: possibile che con esse Dio volesse cambiare le decisioni degli uomini e così il corso degli eventi, che pure Lui sapeva avrebbero preso una direzione univoca, a Lui nota nell'eternità? Insomma, come interpretare l'intenzione di Dio di far formulare ai profeti e al Suo Stesso Figlio delle profezie inutili, se non ingannevoli, per il semplice fatto di prospettare diverse soluzioni possibili, in base alla loro accoglienza o meno da parte di coloro cui di volta in volta sono rivolte, benché Dio già sappia se le accoglieranno o meno?


Non è possibile negare tuttavia che, oltre e più che la prescienza divina, le profezie bibliche effettivamente formulate nel tempo pongono altri problemi da risolvere

Innanzitutto si può pensare che le profezie bibliche sono formulate nella Parola di Dio in tale modo ambiguo, sfumato, se non dal finale aperto, proprio per non guidare gli eventi e costituire così "profezie che si auto-avverano", o per costringere con l'evidenza il libero arbitrio di nessuno, bensì per essere riconosciute come tali post eventum e per costituire un motivo per rinforzare la fede di chi vi riconosce a posteriori la potenza e la saggezza divine piuttosto che per mutare la libera volontà degli uomini, che Dio – ormai dovremmo averlo capito – vuole sempre lasciare tale come Bene perfetto. Pensiamo al Faraone ammonito da Mosè, ai Re d'Israele, Re Erode, il Sinedrio ammoniti dai profeti sull'esilio e sul Messia, agli apostoli ammoniti per tre anni da Cristo stesso circa la Sua passione morte e resurrezione, a Pilato ammonito dalla moglie sulla innocenza di Cristo prima della sentenza, a Giuda e a Pietro ammoniti all'ultima cena sui tradimenti che avrebbero commesso di lì a poche ore...


Tuttavia viene anche da pensare se davvero tale ambiguità delle profezie bibliche dipenda sempre e solo dalla volontà (innegabile) di Dio di voler lasciar ad ogni buon conto liberi gli uomini: intendo qui avanzare un'ultima ipotesi teologica "ardita" in proposito.

Un'ipotesi che credo non contraddica l'Onniscienza divina e che afferma quanto segue: la volontà di Dio, nell'eternità, di rispettare fino in fondo le libere volontà degli uomini nel tempo, sul piano della Sua rivelazione, appunto nel tempo, si potrebbe tramutare proprio in un annebbiamento di tale rivelazione della Propria conoscenza degli eventi, che si amplierebbe e si sfaccetterebbe a contemplare i diversi scenari possibili, aperti dalle libere volontà delle parti in gioco.

Ciò, a tutti gli effetti, non comprometterebbe il credere che comunque Dio, nel piano dell'eternità, provveda per il bene complessivo della storia dell'umanità "in visione" dell'effettivo svolgersi degli eventi, il quale nell'eternità ha perennemente davanti a sé; per cui non introduce nessuna ombra di ignoranza in Dio: piuttosto offre una solida e ortodossa comprensione metafisica della Rivelazione divina che rende più accettabile il rapporto di Dio con gli uomini. Questa mia ipotesi fa sì che Egli, con le Sue profezie ambigue, smetta di sembrar prendersi gioco di loro quasi "facendo lo gnorri", ossia facendo presagire scenari in realtà destinati a non realizzarsi mai e nascondendo lor un destino già scritto, bensì comunichi loro in assoluta buona fede, senza infingimenti, nel tempo, l'effettiva, totale e radicale dipendenza del proprio destino – da Lui voluta nell'eternità – dalla loro propria libera volontà. Così come Lui stesso ha ispirato di scrivere all'autore del Siracide: «Egli ti ha posto davanti il fuoco e l'acqua; / là dove vuoi stenderai la tua mano.» (Sir 15, 16).


In questo senso, l'ambiguità se non l'apertura delle profezie non sarebbe altro che la traduzione coerente nel tempo, in caratteri temporali, dall'originaria scrittura in caratteri eterni, della Sua onniscienza degli eventi combinata alla Sua volontà di rispettare la libertà umana.

In effetti, pensiamoci, l'affermazione per cui Dio "conosca già il verificarsi di un certo evento" è in se stessa fuorviante e per questo non può essere usata con qualche ragione contro le profezie bibliche o per impugnarle, quasi dimostrassero l'inconsistenza della Parola di Dio: se, infatti, nel dire "Dio conosce già un evento" intendiamo che lo conosce prima che accada a livello dell'eternità, la nostra affermazione diventa un non-sense appena ci si ricordi che nell'eternità non esiste un "prima" e un "poi" e quindi un "già" e un "non ancora"; piuttosto dovremmo limitarci a dire che Lui "conosce l'evento", in contemporanea a quando accade nel tempo; d'altra parte, infine, se nel dire "conosce già" con ciò intendiamo dire che lo conosce prima che accada a livello del tempo, anche questa frase può tranquillamente perdere di senso a fronte del fatto che Dio vuole che i nostri atti siano liberi e quindi non predicibili nel tempo, senza che con ciò Gli si attribuisca di ignorare alcunché; bensì semmai di conoscere anche nel tempo la libertà – e gli eventi ad essa legati – che, anche nel tempo, vuole per l'uomo; insomma, di conoscere ciò che vuole, nel tempo in modo altrettanto coerente che nell'eternità.

Anzi, al più, in tal modo, conoscendo esattamente più scenari possibili aperti dalle libertà umane, Dio finisce per conoscere anche nell'eternità – nulla vieta di pensarlo – di più di quel che conoscerebbe conoscendo solo la realtà così come si realizza, per cui a maggior ragione non mi si può mettere in bocca di star attribuendo a Dio alcuna traccia di ignoranza.

Sono a tal punto convito di quanto da me sinora asserito che, in conclusione, mi spingo a fare un'affermazione che potrebbe sembrare azzardata ma che in cuor mio non ritengo tale: l'unica cosa che Cristo – Dio nel tempo – avrebbe saputo rispondere a Giuda se, prima di decidersi definitivamente per Satana, questi Gli avesse chiesto quale sarebbe stato il suo destino eterno, sarebbe stata – come varrebbe in realtà per ciascuno di noi – «Io so questo, che dipende da te.».


Quindi, Fantacattolici e Fantacattoliche, ora che abbiamo qualche ragione in più per credere, vogliamo ancor di più farci carico del nostro destino: agiamo come se tutto dipendesse da noi e preghiamo come se tutto dipendesse da Dio, il tutto sempre Dei Gloriam...


Ad Maiorem


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