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Immagine del redattorePietro Calore

FANTAQUESTIONE n°35

È migliore la monarchia o la repubblica?



In occasione della Festa della Repubblica del 2 Giugno (a proposito: tanti auguri!) mi pareva interessante indagare su questa annosa diatriba.

Ovviamente me lo chiedo in quanto cristiano: da un punto di vista filosofico, duemila anni di storia non sono serviti a molto per giungere a qualche conclusione – per quanto, oggi, sia arduo trovare qualcuno disposto a mettere davvero la faccia sulla causa monarchica, almeno in Occidente – per cui non posso certo immaginare di dire io qualcosa, non dico di nuovo, ma anche solo di interessante.

Sia chiaro, la contrapposizione che intendo qui discutere non è tra moderne monarchie costituzionali e repubbliche parlamentari o tra antiche monarchie assolute e repubbliche cittadine… insomma, tra specifici esempi storici dell’una e dell’altra forma di governo, ma proprio tra i due puri concetti: l’idea che sia meglio che gli Stati siano governati da un uomo solo – per amor di teoria, vogliamo pensare scelto su base meritocratica – o dalla maggioranza dei loro abitanti.


A dispetto di quello che pensano vecchi nostalgici dell’Impero Universale Cristiano e altrettanto vecchi ideologi del cristianesimo più progressista e liberale, ci sono due dati di fatto teologici che ogni cristiano deve constatare prima di cominciare a riflettere sulla questione di nostro interesse:


PRIMO Fin dai suoi albori il Cristianesimo è sempre stato decisamente “governativo”, nel senso che non ha mai manifestato pulsioni sovversive rispetto ai diversi status quo politici in cui si è trovato a diffondersi, per quanto ne potesse venir perseguitato. Le attestazioni di questa attitudine potrebbero sprecarsi, per cui ho preferito sceglierne tre tra le più significative: una tratta dalla Sacra Scrittura e due prese da testi cristiani tanto antichi quanto autorevoli.


(Rm 13, 1-2)

Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c’è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono si attireranno addosso la condanna. (Pare di sentire l’eco di Gv 18, 11, in cui Gesù dice a Pilato: «Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall’alto»)

(Lettera a Diogneto, V)

I cristiani non si differenziano dagli altri uomini né per territorio, né per il modo di parlare, né per la foggia dei loro vestiti. […] Abitano ognuno nella propria patria, ma come fossero stranieri; rispettano e adempiono tutti i doveri dei cittadini, e si sobbarcano tutti gli oneri come fossero stranieri; ogni regione straniera è la loro patria, eppure ogni patria per essi è terra straniera. […] Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi. 11. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati.

(“Supplica per i Cristiani” di S. Atenagora di Atene, 180 d.C. ca.)

A noi invece, che siamo detti cristiani, non avete provveduto come agli altri, ma, al contrario, mentre non facciamo torto a nessuno, anzi, come sarà dimostrato nel séguito del discorso, abbiamo verso la divinità e verso il vostro Impero sentimenti di pietà e di giustizia come nessun altro, permettete che siamo vessati e spogliati, mentre solo a causa del nome il volgo ci combatte.

[…] Riconoscete, o imperatori, il valore della mia apologia e accogliete la supplica: lo meritiamo noi cristiani, che preghiamo per la prosperità vostra e dell’Impero, la quale ridonderà anche a vantaggio nostro.


Fin dai suoi albori il Cristianesimo è sempre stato decisamente “governativo”

SECONDO Di conseguenza, il Cristianesimo non ha mai fatto propria, a livello di Magistero, alcuna preferenza per questo o quel regime politico, concentrandosi piuttosto sulla valutazione di quanto ciascuno rispetti e promuova a livello mondano la Legge Naturale divina.

Certamente, a motivo del contesto in cui è cresciuto e vissuto – non solo in Europa – fino a pochi secoli fa, per lungo tempo, teologi e Papi hanno manifestato una decisa simpatia per una concezione politica monarchica (1), in cui il potere statuale potesse, da un lato, rispecchiare sulla Terra l’unità di potere che Dio detiene in Cielo, dall’altro, tutelare con efficacia il rispetto della legge naturale nelle turbolente società umane. Come biasimarlo? I regimi monarchici hanno rappresentato per secoli la quasi esclusiva struttura politica delle società umane attorno al mondo. D’altro canto, nel corso della storia, non sono mancate alla Chiesa sufficienti occasioni di forte disillusione in merito – soprattutto da quando ha iniziato a relazionarsi sempre più con regni e imperi non cristiani, e da quando sempre più sovrani europei hanno cominciato a distaccarsi dalla fede cattolica, dagli imperatori bizantini fino a Enrico VIII, passando per Federico II di Svevia – tali da lasciarLe comunque una forte lucidità e distaccata capacità di giudizio in sede magisteriale. Lucidità che troviamo ottimamente compendiata in un discorso di Pio XII (su cui torneremo), il quale cita a sua volta Leone XIII (2):


(Radiomessaggio di sua santità Pio XII ai popoli del mondo intero, Domenica, 24 dicembre l944)

È appena necessario di ricordare che, secondo gl'insegnamenti della Chiesa, «non è vietato di preferire governi temperati di forma popolare, salva però la dottrina cattolica circa l'origine e l'uso del potere pubblico», e che «la Chiesa non riprova nessuna delle varie forme di governo, purché adatte per sé a procurare il bene dei cittadini» (Leon. XIII Encycl. «Libertas», 20 giugno 1888, in fin.).


E nel Catechismo (§ 1901)

Se l'autorità rimanda ad un ordine prestabilito da Dio, «la determinazione dei regimi politici e la designazione dei governanti sono lasciate alla libera decisione dei cittadini» [Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 74]. La diversità dei regimi politici è moralmente ammissibile, purché essi concorrano al bene legittimo delle comunità che li adottano. I regimi la cui natura è contraria alla legge naturale, all'ordine pubblico e ai fondamentali diritti delle persone, non possono realizzare il bene comune delle nazioni alle quali essi si sono imposti.


Ecco dunque come a questa nostra Fantaquestione la Chiesa risponda denunciandone – almeno dal suo punto di vista – la sostanziale insensatezza: se, infatti, a lei interessa – come interessa – solo la tutela e la promozione a livello mondano della Legge Naturale inscritta da Dio nel cuore di ogni uomo, ebbene, con assoluta legittimità, ritiene poco utile chiedersi quale regime politico le persegua, bensì si concentra nel valutare se questo o quello lo facciano o meno – monarchie o repubbliche a questo punto poco importa.


Ciò detto, non si può negare che l’esperienza degli ultimi decenni abbia comunque condotto la Chiesa a manifestare, almeno sul piano pastorale, una certa preferenza per regimi politici di stampo repubblicano. E questo a motivo di una sua forte acquisizione di consapevolezza dopo il trauma delle due Guerre Mondiali novecentesche, ovvero che la repubblica è una forma istituzionale più conforme alla natura umana di qualunque altra “autoritaria”, come inevitabilmente si trova ad essere ogni monarchia: una repubblica, infatti, può anche non essere cristiana, ma almeno può diventarlo, per il fatto di garantire molte forme di libertà civili, tra cui due fondamentali, la libertà di credere nel dio che si vuole e di votare; un’autocrazia cristiana, invece, può anche pretendere di esserlo di nome, ma se non lo è nei fatti (cosa molto probabile, alla luce del tragico dato storico) non può nemmeno divenirlo. Cosa di cui dovette rendersi conto fino in fondo Pio XII quando, con estrema lucidità e – forse – contro quanto lui stesso aveva creduto fino a pochi anni prima, nel ’44, per mezzo della radio così si rivolse a tutto il mondo (3):


Sotto il sinistro bagliore della guerra che li avvolge, nel cocente ardore della fornace in cui sono imprigionati, i popoli si sono come risvegliati da un lungo torpore. Essi hanno preso di fronte allo Stato, di fronte ai governanti, un contegno nuovo, interrogativo, critico, diffidente. Edotti da un’amara esperienza, si oppongono con maggior impeto ai monopoli di un potere dittatoriale, insindacabile e intangibile, e richiedono un sistema di governo, che sia più compatibile con la dignità e la libertà dei cittadini.

Queste moltitudini, irrequiete, travolte dalla guerra fin negli strati più profondi, sono oggi invase dalla persuasione — dapprima, forse, vaga e confusa, ma ormai incoercibile — che, se non fosse mancata la possibilità di sindacare e di correggere l'attività dei poteri pubblici, il mondo non sarebbe stato trascinato nel turbine disastroso della guerra e che affine di evitare per l'avvenire il ripetersi di una simile catastrofe, occorre creare nel popolo stesso efficaci garanzie.

In tale disposizione degli animi, vi è forse da meravigliarsi se la tendenza democratica investe i popoli e ottiene largamente il suffragio e il consenso di coloro che aspirano a collaborare più efficacemente ai destini degli individui e della società?


Ad Maiorem


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