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  • Immagine del redattorePietro Calore

FANTAQUESTIONE n°9

Aggiornamento: 21 set 2021

Padre Nostro: la nuova traduzione è giusta?

Parte prima – Indurre o abbandonare a?



A scanso di equivoci: io credo di sì. E non perché «l’hanno fatta i vescovi quindi non si discute». No, fosse stata anche opera del Papa o di «un angelo dal cielo» (Gal 1, 8), da credente ritengo che su faccende come queste (di traduzione, analisi testuale ecc.) l’adesione a quanto la Chiesa insegna non possa mai fondarsi sul solo principio di autorità, bensì anche su solide ragioni: ragioni certo teologiche ma anche necessariamente inerenti le precise scienze che si occupano di queste cose, come la linguistica, la filologia e l’ermeneutica. D’altra parte, come mostrerò alla fine, il mio assenso a questa scelta (italiana, non universale) non è “incondizionato”.

Ora il fatto è questo: in occasione della 3^ edizione della traduzione italiana dall’originale latino ‒ detto “Editio typica” ‒ del Messale Romano, la CEI, cioè la Conferenza Episcopale Italiana, ha pensato bene di rivedere [9] la traduzione italiana del Padre Nostro [6; 7; 10], la preghiera insegnata da Gesù stesso ai discepoli secondo i Vangeli (Mt 6, 9-13; Luca 11, 1-4). Per i profani, chiarisco che il Messale Romano [5] è il libro canonico normativo per tutti i riti, e quindi le preghiere, della celebrazione della Messa Cattolica. Di fatto, esso norma il modo di pregare in generale di tutta la Chiesa: se nel Messale una preghiera si dice in un certo modo, in nome dell’unità mistica di tutta la Chiesa nel corpo di Cristo, ogni cristiano è tenuto a pregarla in quel modo, pena lo scisma.

Le modifiche apportate sono state due.


La PRIMA non ha suscitato alcun clamore essendo incontestabilmente una resa italiana migliore della cosiddetta “quinta petizione” [3], più aderente al testo originale greco e alla sua versione latina:


e rimetti a noi i nostri debiti

come ANCHE noi li rimettiamo ai nostri debitori;


kaì áphes hēmîn tà opheilḗmata hēmôn,

hōs KAI hēmeîs aphíemen toîs opheilétais hēmôn;


et dimitte nobis debita nostra,

sicut ET nos dimittimus debitoribus nostris;


È cosa nota a chi conosca le lingue classiche che la congiunzione “e” (“kai”/“et”), quando viene usata non per congiungere due frasi ma dentro una frase per congiungere due sostantivi, un aggettivo e un sostantivo o due aggettivi, vuole dire “anche”.


La modifica più dibattuta è stata la SECONDA, quella riguardante la sesta petizione [3]:


[vecchia traduzione: e NON INDURCI in tentazione]

e NON ABBANDONARCI ALLA tentazione,


kaì MḔ EISENÉNKĒIS HĒMÂS EÍS peirasmón,


et NE NOS INDUCAS in tentationem,


Molti hanno detto, con fare inquisitorio: hanno cambiato il significato del Padre Nostro! Dilaga l’eresia! Occorre continuare a recitare la vecchia forma! Chi prega la nuove è eretico!

Allora: io sarei anche d’accordo con questi se ‒ e sottolineo se ‒ fosse d’avvero stato cambiato il significato del Padre Nostro. Vediamo perché a tutti gli effetti non lo è stato.

Qualche premessa non solo "tecnica" non irrilevante.

La prima lingua in cui il Padre Nostro ci è stato attestato è il greco, la lingua in cui furono scritti tutti i Vangeli: qualcuno allora, credendo di giustificare l’operazione della CEI, dice «Beh ma visto che Gesù parlava aramaico chissà cosa avrà voluto dire veramente… Perché dunque non dovremmo poter cambiare il “presunto” significato di alcune parole del Padre Nostro se ci interessa far dire a Gesù questo o quello, per questo o quel motivo teologico?». No, no e no: la Parola di Dio per ogni cattolico ‒ dalla vecchietta al Papa -‒ è vincolante nei suoi significati così come ci sono stati attestati in greco, dagli evangelisti, nei Vangeli riconosciuti come canonici e quindi di sicura ispirazione divina [2; 4; 8]. Ogni Sua traduzione, per quanto libera e sotto l’egida di qualsivoglia autorità, deve sempre esprimere il significato che gli evangelisti ‒ ispirati dallo Spirito Santo ‒ hanno voluto darle, pena ‒ ebbene sì ‒ l’eresia. Ora: il greco è una lingua abbastanza nota per permetterci di dire che il/i significato/i di certe parole è/sono questo/i e nessun altro. Pertanto la pur probabile origine aramaica del Padre Nostro non giustifica in alcun modo nessun cambiamento arbitrario del significato del suo testo evangelico greco alla ricerca di un presunto “significato originario” per mezzo di una traduzione in lingua corrente.


la Parola di Dio per ogni cattolico è vincolante nei suoi significati così come ci sono stati attestati in greco, dagli evangelisti, nei Vangeli riconosciuti come canonici

Chiarito questo ora cercherò di dimostrare perché, a ogni buon conto, la nuova traduzione della CEI non rappresenti un tradimento dell’originale greco, come può sembrare a prima vista. E perché quindi non sono i vescovi a essere eretici, ma chi lancia appelli come quelli di cui sopra ad essere a rischio di scisma.

Allora vediamo bene ogni elemento della frase incriminata: “mḕ” = “non”; “eis-enénkēis” = “portare/in-durre”; “hēmâs” = “noi”; “eís” = “in”; “peirasmón” = “prova”.

Il significato è chiaro: Gesù qui ci ha insegnato a chiedere al Padre di non portarci nella prova, di risparmiarci il proverbiale “amaro calice” (in merito alla diatriba “prova vs tentazione” parlerò nella seconda parte di questa Fantaquestione large). Proprio come Lui Stesso in effetti fece nell’Orto degli Ulivi e per di più con le stesse parole:

- «Pregate, per non entrare in peirasmón» (Lc 22, 40);

- «Padre, se vuoi, par-enénke da me questo calice!» (42): “par” = “da”, è una preposizione che indica un moto da luogo, all’opposto di “eis” che indica un moto a luogo; ma quel che è interessante è il ricorso allo stesso verbo “-enenkon” (aoristo del verbo “fero” = “portare”) per indicare l’azione opposta a quella di “entrare/indurre” nel/nel peirasmon/calice.

- «Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà» (42): si tratta di un’invocazione in tutto analoga alla terza petizione del Padre Nostro [3], a sottolineare proprio il legame tra quella preghiera e le invocazioni del Signore in quel terribile momento.


Ora, parrebbe che in italiano “abbandonare” non possa in alcun modo significare “portare” giusto? Sì, è vero, è innegabile a patto però che… lo si consideri com’è, senza preposizione. Si dà il “caso”, infatti, che il testo della nuova traduzione non affermi “non ci abbandonare NELLA…”, il che sì avrebbe significato un tradimento del dato testuale in sé obbligante bensì usi la costruzione “abbandonare A(LLA)”. Pensiamo agli esempi “abbandonammo la barca ALLA furia delle onde” o “abbandonammo il malcapitato ALLA sua sorte”: in italiano [1] “abbandonare a” è una espressione sinonimica di “mettere in balìa di”. In questo senso la nuova traduzione conserva tutte le caratteristiche semantiche della vecchia “non ci indurre in”:

- l’idea del moto a luogo;

- l’idea dello spostamento intenzionale da parte di Dio per mettere in una certa condizione;

così come perde ogni riferimento al puro e semplice “abbandono” da parte di Dio! Che non c’è nell’originale greco, che infatti S. Girolamo non ha messo nella Vulgata latina e che non poteva essere intenzione dei vescovi italiani introdurre come primo significato.

“Abbandonare a” non significa banalmente “abbandonare” ma, appunto, “esporre al rischio di”, “mettere nelle mani di”: in definitiva significa la stessa ‒ sottolineo ‒ la stessa identica cosa che “indurre in”, solo con una sfumatura diversa che, a mio parere, ci sta tutta.


Ora, parrebbe che in italiano “abbandonare” non possa in alcun modo significare “portare” giusto?

Infatti ‒ potrebbe osservare qualcuno ‒ perché i vescovi hanno sentito la necessità di cambiare la traduzione se alla fin fine dice la stessa cosa della vecchia? Perché “ecclesia semper reformanda”! In italiano dire “indurre in tentazione” allude a un ambito semantico diabolico che stride con il riferimento a Dio della somma preghiera. Senza considerare che arriva a creare quasi un cortocircuito intra-biblico, laddove S. Giacomo dice nella sua lettera: «Dio non può essere tentato dal male e non tenta nessuno al male» (Gc 1, 13).

Insomma, volendo preservare la giusta idea per cui Dio permetta la prova/tentazione per “provare al crogiuolo” (Sap 3, 6), la fede dei credenti ‒ un tema assolutamente biblico ‒ è parso opportuno ai Vescovi attribuirGli un atto diverso ‒ per quanto del tutto analogo ‒ da quello subdolo e malvagio dell’“indurre”, da cui essere dissuaso: quello del “mettere in balia di”, dell’“abbandonare a”, appunto. Rimanendo comunque fedeli ‒ com’era doveroso quando si traduce il testo biblico ‒ alle caratteristiche semantiche dell’originale greco.


Certamente su questa opportunità ciascuno è libero di pensarla come vuole e anche di dissentire dai vescovi: quel che però è inaccettabile è che si tacci di eresia la Conferenza Episcopale e si induca alla disobbedienza religiosa. Piuttosto, quel che sarebbe doveroso esigere da Vescovi e Parroci sarebbe di portare avanti una ampia e profonda opera di catechesi, che spiegasse ai fedeli il senso sia della vecchia che della nuova traduzione, il passaggio dall'una all'altra e perché questa non vuole suggerire affatto l’idea che Dio possa mai abbandonare NEL peirasmón.

D’altro canto, per quel che mi riguarda, devo dire che fra tutte le cose che si sarebbero potute ritradurre io mi sarei concentrato proprio sul “peirasmón” ma questa è un’altra storia, buona per un’altra futura Fantaquestione.


Ad Maiorem


Fonti primarie:

[1] AA. VV., abbandonare def. 1b, in Vocabolario Treccani [ultima consultazione 21/09/2021].

[2] Catechismo della Chiesa Cattolica, §§ 115-119 sui sensi della Sacra Scrittura.

[3] Catechismo della Chiesa Cattolica, §§ 2842-2849 su terza, quinta e sesta petizione.

[4] Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Dei Verbum sulla Divina Rivelazione (1965) §§ 12-13

[6] Tommaso d'Aquino, Commento al Padre Nostro, in Redazione, Gli Scritti, 2013 [ultima consultazione 04/09/21].


Fonti secondarie:

[7] Ratzinger J., Gesù di Nazareth, Rizzoli, Milano 2008, cap. 5.

[8] Tommaso d'Aquino, Summa Theologica, I, q. 1, a. 10, ad 1, sull'importanza del senso letterale della Scrittura.


Per approfondire:

[10] Autori di Wikipedia, Padre Nostro (18 ago 2021). Wikipedia, L'enciclopedia libera. Tratto il 21 Settembre, 10:00 da https://it.wikipedia.org/wiki/Padre_nostro.



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