Padre Nostro: la nuova traduzione è giusta?
Parte seconda – Prova o Tentazione?
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Dopo aver chiarito (Fantaquestione n°9) quella che mi sembra una posizione equilibrata circa la vexata quaestio dell’“indurre in tentazione”, vorrei ragionare ora su un secondo problema di resa italiana di un’altra parola: la parola “peirasmós”.
Nella nuova traduzione è stata conservata la vecchia traduzione di “tentazione” [5]: non sono affatto soddisfatto. Credo si sia persa un’occasione di sano dibattito, a tutto vantaggio della polemica senza costrutto di “indurre vs abbandonare a”.
In fin dei conti, infatti, mi sembra di aver dimostrato che scegliere tra le due opzioni non significhi chissà quale mutamento sul piano semantico: in termini tecnici, alla Frege, si potrebbe dire che cambia il senso, non il significato, cioè cambia solo il modo in cui questo viene espresso. Considerato, poi, che tanto l’una quanto l’altra espressione richiedono comunque un approfondimento catechetico per essere comprese fino in fondo. Quindi ‒ a dirla proprio tutta ‒ si sarebbe potuto anche tenere “indurre in” solo spiegandolo meglio a catechismo o in un ciclo di omelie…
Invece su “peirasmós” credo si potesse ‒ in modo legittimo e ortodosso! ‒ osare di più.
Il termine italiano “tentazione”, infatti, per i parlanti italiani rende solo una accezione o, forse sarebbe meglio dire, un aspetto del termine originale greco e ebraico: quello dell’azione diabolica di deviare gli uomini lontano da Dio, verso il peccato.
In questo caso tocca tirare in ballo anche l’ebraico perché “peirasmós” è un termine ricorrente non solo nel Nuovo Testamento ma anche nella Bibbia Ebraica tradotta in greco (detta “Dei Settanta”), per tradurre un preciso termine ebraico: “nisayon”.
Sulla base delle ricorrenze testuali, si può agevolmente dimostrare che “nisayon” ha un significato neutro e significa “prova”, “messa alla prova” [1; 3]. In termini tecnici “nisayon” è una sorta di “vox media” [2], ovvero una parola che solo sulla base del contesto può svelare l’aspetto, l’accezione, la sfaccettatura sotto cui la si considera.
Per fare un esempio, in italiano la parola “ospite” significa contemporaneamente “colui che ospita” e “colui che è ospitato”: solo il contesto può determinarne il significato nell’uno o nell’altro senso. Questa “medietà” di significato di “nisayon” è condivisa dal termine greco “peirasmós”, con cui non per nulla lo si è tentato di tradurre ‒ fin da ben prima degli evangelisti e dello steso cristianesimo ‒ e che, appunto, significa innanzitutto “prova”, “saggiatura”, “tentativo” prima che “tentazione (diabolica)”. Per comprenderlo meglio basti considerare il fatto che “peirasmos” condivide la radice con il greco “em-peirìa”/“ek-peiraomai”, da cui i nostri “em-pirico” ed “es-perienza” nel senso di “ciò che è frutto di una prova sensibile” e di “far prova concreta di qualcosa”.
su “peirasmós” credo si potesse ‒ in modo legittimo e ortodosso! ‒ osare di più.
È un dato biblico e della fede abraico-cristiana che Dio metta alla prova la fede dei credenti: da Adamo ed Eva fino ad oggi, passando per Abramo, Giobbe, gli Apostoli nell'Orto degli Ulivi… D’altra parte il fatto che queste “prove” corrispondano di per sé a delle “tentazioni diaboliche” non è ovvio, neppure sulla base degli esempi biblici citati: per esempio, le “prove” della vita di Abramo e degli Apostoli ‒ così come le nostre di ogni giorno ‒ sono state e sono in primo luogo situazioni in cui l’uomo viene messo da Dio per svuotarlo dalla sua superbia e così rendergli possibile la kenosis necessaria ad accogliere il Suo Amore in modo sincero, totale, incondizionato. Certamente in queste “prove” il Nemico ‒ nel limite in cui gli è concesso da Dio ‒ trova spazio, nel costante tentativo di trasformarle da occasioni per il bene a occasioni per il male, per il rinnegamento di Dio: ma di per sé le “prove” non sono riducibili nella loro essenza alla pura azione del Diavolo, in quanto sono piuttosto ‒ ripeto ‒ situazioni esistenziali volute da Dio.
Mi sembra che S. Pietro renda perfettamente l’idea di questa condizione peculiare degli esseri umani quando dice: «Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, perché vi esalti al tempo opportuno, gettando in lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi. Siate temperanti, vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede, sapendo che i vostri fratelli sparsi per il mondo subiscono le stesse sofferenze di voi. E il Dio di ogni grazia, il quale vi ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo, egli stesso vi ristabilirà, dopo una breve sofferenza vi confermerà e vi renderà forti e saldi.» (I Pt 5, 6-10).
Insomma, le “prove” a cui Dio induce/abbandona non sono in primo luogo “tentazioni diaboliche”: sono umiliazioni, preoccupazioni, sofferenze, saggiature della nostra superbia; tutte situazioni esistenziali sempre e comunque nella potente mano di Dio. Certo il Demonio le può usare come grimaldello per tentare, ma questo non è un dato necessario, intrinseco alla “prova”: cosa che è invece la lotta del fedele alla propria superbia; insomma quel che è necessario che avvenga grazie ad esse è la saggiatura da parte di Dio della direzione della nostra libertà umana, se verso o contro di lui (Sir 2, 5).
Ecco perché, in occasione della revisione della traduzione del Padre Nostro, mi sarei aspettato che si discutesse di più sulla possibilità di cambiare la traduzione da “tentazione” a “prova” piuttosto che quella da “indurre” a “abbandonare a”: lì, infatti, ci sarebbe stato ben di più su cui discutere e di più edificante per la fede di tutti, dal momento che avrebbe offerto la possibilità di approfondire e riscoprire un aspetto oggi negletto della provvidenza di Dio, il suo “mettere (che sia “indurre” o “abbandonare a” poco importa) alla prova”. Aspetto da cui Gesù stesso, nell’orto degli ulivi, ci ha insegnato che possiamo pregare il Padre di risparmiarci, sempre però assieme alla preghiera ‒ che infatti c’è anche nel Padre Nostro ‒ che sia fatta la Sua e non la nostra volontà.
La mia IDEA [4] è che non sarebbe stato male conservare anche in italiano la medietà di “nisayon/peirasmós”, traducendoli con “prova” piuttosto che con “tentazione”. Soprattutto sulla scorta della consapevolezza che, così facendo, non si sarebbe rinnegata la vecchia traduzione ma solo la si sarebbe fatta rientrare in una sì più “generale” ma anche più biblica.
Se la CEI ha fatto questa scelta è perché, in effetti, nel Nuovo Testamento il termine “peirasmós” viene usato in passaggi di notevole rilevanza, proprio con l’accezione di “tentazione (diabolica)”, in particolare quando, proprio nei Vangeli di Matteo e Luca ‒ gli stessi che riferiscono la preghiera del Padre Nostro ‒ si narra delle tentazioni di Gesù nel deserto «Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato [peirasthènai] dal diavolo» (Mt 4, 1) «Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano e fu condotto dallo Spirito nel deserto dove, per quaranta giorni, fu tentato [peirazòmenos] dal diavolo» (Lc 4, 1a).
Però c’è un però… nella prima lettera ai Corinzi si legge: «Nessuna tentazione vi ha finora colti se non umana; ora Dio è fedele e non permetterà che siate tentati (peirasthènai) oltre le vostre forze, ma con la tentazione (peirasmōi) farà anche la via d'uscita, affinché la possiate sostenere.».
È chiaro quindi come anche nel greco del Nuovo Testamento il “peirasmós” sia qualcosa che si può indifferentemente attribuire al Diavolo come agli uomini che... a Dio! Lasciandone comunque sempre il timone e la primazia… a Dio appunto! Per cui è chiaro che l’ambito semantico è ancora quello del “nisayon” ebraico, quindi della “prova”, non solo, in primo luogo, della “tentazione diabolica”.
La mia IDEA è che non sarebbe stato male conservare anche in italiano la medietà di “nisayon/peirasmós”, traducendoli con “prova” piuttosto che con “tentazione”.
Se dunque questo argomento della CEI mi sembra abbastanza debole, rimane da verificare un secondo argomento, di solito proprio dei tradizionalisti, sempre legato al contesto evangelico (l’unico che legittimamente può dirimere la questione, trattandosi di una vox media, come abbiamo visto). Ovvero quello per cui a giustificare la “tantazione”, starebbe la petizione successiva, l’ottava e ultima, in cui si vorrebbe vedere una citazione esplicita del Diavolo, Maligno”: «ma liberaci dal Maligno».
Se si chiede a Dio “ma” di liberarci dal Diavolo ‒ dicono ‒ prima dobbiamo aver chiesto di non indurci in “tentazione (del Diavolo)” no?
Ora, in greco questa petizione appare così: allà ( = ma) rhûsai ( = libera) hēmâs ( = noi) apò ( = da) toû ( = il) ponēroû (male/Maligno).
Ci sono due ordini di motivi per cui la traduzione con “Maligno” non può essere scontata.
Il primo ordine linguistico è duplice: da un lato “toû ponēroû”, così com’è, non si può capire se sia di genere maschile o neutro, cosa molto importante perché nel primo caso significa inequivocabilmente “il Maligno”, nel secondo “il male” in generale, sulla base delle sue stesse ricorrenze bibliche; dall’altro nei testi antichi non esisteva una vera e propria regola per l’uso delle maiuscole, per cui il fatto che “ponēroû” non inizi per maiuscola non significa nulla, né in un senso né nell’altro.
Il secondo ordine è biblico: il termine “poneros/-on” non è usato nel Nuovo Testamento in modo significativamente preponderante al maschile o al neutro, per cui non possiamo indurre che qui sia usato in un modo piuttosto che nell'altro. Si ripropone dunque con “ponēroû” il problema del “peirasmós”: il male personificato dal Diavolo, il “Poneròs”, può anzi deve certamente rientrare nel “ponēros/-on” del Padre Nostro ma non lo deve per forza esaurire, sicché non è necessario tradurre univocamente quest’ultimo con “Maligno”, così come a mio avviso non si dovrebbe “peirasmós” con “tentazione”.
Certo, questo argomento tra tutti mi sembra il più forte perché effettivamente il riferimento al “Maligno” (Poneròs) in S. Matteo ‒ tra l’altro l’unico a riportare la petizione in questione, che Luca non riporta ‒ è ricorrente. D’altra parte a fronte del Maligno che «ruba ciò che è stato seminato» (Mt 13, 19), che è padre della zizzania (13, 38), da cui viene tutto ciò che non sia «sì sì; no no», c’è il «male» con cui, nelle beatitudini (!), Gesù insegna che il mondo calunnia i cristiani: che “prova”, verrebbe da dire! Non aiuta il verbo "rhùsai" (da "eruō"), anch'esso una vox media, che significa tanto "tirar fuori", il che si addirebbe meglio al "male", quanto "riscattare", il che si attaglierebbe piuttosto al "Maligno".
Infine, tuttavia, va detto che, anche se in effetti si dovesse propendere per una traduzione di "ponēroû" come "Maligno", ciò non significherebbe ancora la necessità di tradurre "eis peirasmòn" con "in/alla tentazione". Abbiamo visto, infatti, che l'azione del Maligno è sempre contemplata anche dalla "prova", nel senso di "test divino" della nostra fede. Pertanto Gesù con il Padre Nostro potrebbe sempre averci insegnato di chiedere a Dio di evitarci la "prova" e, se proprio proprio, almeno di tenerne lontano il Maligno, affinché non aggravi la sua durezza e il suo pericolo per noi.
Ciò detto, in conclusione, ribadisco la mia idea per cui credo che le argomentazioni biblico-teologiche suddette, nel dubbio, invitino ‒ e avrebbero dovuto invitare! ‒ a guardare per lo meno con interesse alla traduzione di "nisayon" con "prova".
Queste e tante altre valutazioni si sarebbero potute fare, invece di venire indotti ed essersi abbandonati a… impantanarsi su altro! Ma tant’è: una futura generazione di cattolici forse potrà giovarsene. Io il mio contributo spero di averlo dato.
Ad Maiorem
Fonti primarie:
[1] AA.VV., nisayon, in Jewish English Lexicon [ultima consultazione 21/09/2021].
[2] AA. VV., vox media, in Vocabolario Treccani [ultima consultazione 21/09/2021].
[3] Curwin D., nes and nisayon in Balashon [ultima consultazione 21/09/2021].
[4] Gasparro L., Tentazione o prova? Considerazioni alla luce di una riformulazione del Padre Nostro in Rassegna di Teologia vol. 60 (2019) pp. 5-21.
Per approfondire:
[5] Fontana M., Vatican News, 2020, Bruno Forte: “Nuova versione Cei del Padre Nostro in uso dal 29 novembre”.
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