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  • Immagine del redattorePietro Calore

FM(C) 2E1

Aggiornamento: 11 apr 2022

I patti con il Comitato Internazionale erano stati chiari per quanto, almeno in parte, segreti: lui avrebbe messo a loro disposizione il proprio indiscusso (e turbolento) genio per portare a compimento il programma ma ‒ e questo era una grosso “ma” ‒ avrebbe dovuto essere messo in condizione di realizzare il proprio Sogno. Sì, proprio quel “Sogno” di cui aveva tanto parlato nei suoi saggi best seller sui computer quantistici, con i quali si era guadagnato la fama di grande filosofo, oltre quella, già consolidata, di grande fisico. E tutto questo a meno di quarant’anni. Alla soglia del mezzo secolo, Ian McGovern era stato un osso duro da convincere ma alla fine, a fronte della garanzia scritta di poter realizzare il Sogno, aveva ceduto. Come biasimarlo? Chi non avrebbe fatto altrettanto? Le responsabilità da assumersi erano tante ma ne valeva la pena, pensava: doveva cogliere questa opportunità prima dell’inevitabile declino cognitivo della mezza età, si era detto. In effetti Ian aveva condotto a termine il lavoro di coordinamento dell’equipe scientifica internazionale in modo eccellente, almeno tanto quanto aveva saputo dissimulare le complesse manovrare sui conti del laboratorio, con le quali aveva dirottato le ingenti somme necessarie a realizzare in prima persona il Sogno.

Dopo tanta fatica i tempi erano maturi. Festeggiata coi colleghi la conclusione delle ultime fasi del programma e ordinato al suo segretario di dare buca ai Pari, Ian si rifugiò in camera con la scusa della stanchezza, non senza chiedere al proprio stesso staff di non venir disturbato per nessun motivo e di darlo per irreperibile se qualcuno lo avesse cercato. In verità, il fatto era che si conosceva troppo bene per non essere consapevole del proprio punto debole, la fretta, che ‒ come si ripeteva spesso ‒ è cattiva consigliera: non voleva correre il rischio di far trapelare le emozioni contrastanti che lo stavano travagliando; era meglio non restare a lungo in compagnia. Spentosi il crepuscolo, salì su una Jeep anonima prelevata da un hangar esterno al laboratorio e si inerpicò fino al “rifugio per il birdwatching” che si era costruito senza che nessuno facesse troppe domande («d’altra parte è un genio…» pensavano tutti) su una collina vicina ma ben poco visibile, per via degli ispidi pendii delle montagne che la affiancavano, oltre che per la fitta vegetazione di aghifoglie che la ricopriva. La notte era tersa e la luna illuminava le vallate dei canyon di un bluetto meraviglioso. «Addio!» diceva Ian a quel maestoso paesaggio «Chissà con che occhi ti rivedrò ancora!». In realtà, nel profondo, si chiedeva se lo avrebbe proprio più rivisto quello spettacolo. Se si sarebbe risvegliato dal proprio Sogno.


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