Ian stava cominciando a preoccuparsi: da un po’ di tempo si chiedeva da dove gli venissero quegli afflati romantici «decisamente poco da me!», si ripeté anche quella notte. Nella sua vita non aveva mai creduto in niente: la sua precoce ‒ almeno tanto quanto brillante ‒ formazione nei più prestigiosi college nordamericani l’aveva ammaestrato perfettamente nel fingere passione per ogni forma di ideale progressista. Era stato probabilmente l’insegnamento più utile che avesse ricevuto: grazie a esso, aveva trovato ovunque porte aperte, dalla politica all’insegnamento, all’editoria, alle donne… non sempre per merito. A dispetto del suo mirabolante curriculum, alla fine della fiera era sempre rimasto un nichilista. Con i suoi “amichetti di bevute” ‒ come amava chiamare i fratelli di loggia ‒ se ne vantava e d’altra parte nessuno se ne scandalizzava, anzi: in quell’ambiente qualcuno avrebbe iniziato a preoccuparsi se non l’avesse fatto. «Ma tant’è ‒ si diceva ‒, almeno questo Sogno ce l’ho davvero… Della vita sono nauseato, non me ne frega più niente di nessuno, o la va o la spacca!».
Nel bel mezzo di quei pensieri, s'accorse di essere giunto all’ingresso del “rifugio” o, per essere più precisi, della “cantina” del “rifugio”. Appena prima di entrarvi, non resistette alla tentazione di dare un’ultima occhiata alla fotopellicola grafenica sul palmo della mano destra: di lì in poi, infatti, non ci sarebbe stato più campo. La Commissaria europea per la Civiltà l’aveva cercato: immerso nei pensieri com’era, non se n’era neppure accorto. Dopo qualche secondo di dispiacere cambiò completamente d’animo: «pensieri molto strani per un suicida!» boffonchiò. Di cosa si preoccupava? si chiese. Probabilmente stava per morire: che se ne andasse pure al diavolo quella! Non gli era neppure mai stata simpatica. Se aveva qualcosa da chiedergli poteva pure chiederla ai Pari o alla Comunità, visto che era così loro affezionata. Ian cancellò quindi la notifica e si avviò, sbattendo il pesante portone, nell’umido corridoio che conduceva fin dentro il granitico cuore del colle. Entrò nella “sala caldaia” come se stesso officiando un rito, con passi e gesti compassati, e lo sguardo perso nel vuoto benché fisso dritto davanti a sé. Riaccesa la “caldaia” in stand by, vi inserì con impazienza l’ultimo decisivo dischetto di aggiornamento che aveva tenuto nella tasca interna della giacca: gli dava grande conforto sentirsela così vicina. I nanobot agirono in fretta: tutto fu pronto in pochi minuti. Quella notte, il lettino in mezzo alla stanza con il suo bel cespuglio di elettrodi, brillava agli occhi di Ian di una luce tutta particolare, simile a quella dell’albero di Natale l’ultima sera delle vacanze invernali. «Santo cielo, da quanto tempo non faccio un albero di Natale!» pensò fuggevolmente.
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