9 Maggio 2083
15:13 ORA DI MOSCA
13:13 ORA DI PARIGI
14:13 ORA DI TEL AVIV
04:13 ORA DI LAS VEGAS
BASE MILITARE RUSSA IN OSSEZIA, CAUCASO
«Generale Vasil'evič!» gridò Marchetti entrando di corsa nella tenda da campo dello Stato Maggiore «Richiami la flotta aerea dall’inseguimento!»
«E perché mai dovrei farlo Marchetti, cos’è impazzito?! È stato lei a dirci di fermare l’invasione del medio oriente per inseguire quel dannato arereo?!»
Marchetti partì a raffica «Il mio informatore mi ha comunicato di sapere con assoluta certezza che il Presidente Ruiz non si trova a bordo del Jet Presidenziale verso il Nevada, ma su un banale mezzo aereo militare per… il rifornimento carburante o… ‒ Marchetti prese fiato, deglutendo profondamente ‒ o qualcosa del genere… mi… mi sono annotato il suo codice di volo e le sue coordinate». Marchetti porse allora sul tavolino ripieghevole del Generale uno foglietto spiegazzato.
«Ne è assolutamente sicuro, Marchetti? È disposto a fidarsi fino in fondo del suo informatore?»
«Giudichi lei stesso, Generale» lo scienziato tese la mano a un attendente. Gli inviò così, tramite la pellicola grafenica, un file video che l’informatore aveva avuto modo di registrare trasportando la capsula stessa con il Presidente nell’aereo militare ̶ disse Marchetti ̶ , e che era riuscito a fargli avere tramite il circuito di comunicazione interna dei Pari. Vi si vedeva il dottor Ciepło ‒ Marchetti lo insultò fra i denti ‒ chiedergli di illuminare con il suo caschetto alcuni indici biometrici all’interno della capsula: l’informatore ne aveva approfittato per attivare anche la telecamera integrata e… voilà, in bella vista il Presidente in stato avanzato di psicostasi.
Appena ebbe terminato la visione, il generale Vasil'evič affermò allora in tono marziale «Richiamerò immediatamente la flotta aerea e ordinerò di riprendere l’invasione del medio oriente: non credo riusciremo a fermare l’aereo ma sicuramente circonderemo la base entro sera. È tutto, Marchetti?»
«Tutto, Signore»
9 Maggio 2083
19:16 ORA DI TEL AVIV
18:16 ORA DI PARIGI
20:16 ORA DI MOSCA
09:16 ORA DI LAS VEGAS
BASE MILITARE NATO-UE DI RICERCA, MEGHIDDO
Il dottor Ciepło si gustava la brezza fresca del deserto al tramonto, passeggiando a passi lunghi e lenti sul tetto del primo livello della base. Aveva consegnato la capsula psicostasica ai tecnici, chiedendo che non ne svegliassero l’ospite. Poi si era allontanato. Non prima però di essersi assicurato, tastandosi la giacca, di avere con sé la confezione di sigari che per lunghi anni, dopo essersi spretato, aveva tenuta nascosta nel suo ufficio, unico ricordo della sua vecchia canonica.
Ne aveva estratti un paio con cura e si era messo a fumarli in tutta calma. «La quiete prima della tempesta… La quieta prima della tempesta…» continuava a boffonchiare, sfumacchiando dalla bocca, ora guardando per terra i propri passi, ora guardando in cielo la flotta aerea occidentale che stazionava sopra la base. In lontananza poteva già vedere i lampi della armi convenzionali sino-russe che avanzavano nella loro direzione, schiantando il fragile velo di truppe occidentali che in quel momento, per loro sfortuna, si trovavano a presidiare il medio-oriente, ormai da lungo tempo pacificato. «Eppure si dovranno fermare qui! Davanti alla base!» pensava Ciepło. Questa, infatti, oltre a essere completamente schermata dalla flotta aerea, continuava ad accogliere nuove truppe aviotrasportate, mentre sulle coste israeliane e nell’immediato entroterra, grazie allo sforzo congiunto delle marine militari del mediterraneo, confluivano grosse armate, pronte al contrattacco. Sarebbero state perfettamente in grado di rompere un eventuale assedio. Gli Orientali dovevano saperlo: Marchetti conosceva troppo bene i protocolli militari previsti in casi come questi per non avergliene parlato. D’altra parte, si disse Ciepło, neppure il fatto che quella fosse una base atomica li avrebbe potuti dissuadere dall’attaccarla, anzi: c’avrebbero tentato appena ne avessero avuto l’occasione, correndo perfino il rischio di scatenare una guerra nucleare pur di impedire agli Occidentali di condurre a termine Global Intelligence, caricando la mente del Presidente Ruiz sul supercomputer Wave.
«A proposito ‒ si raccapezzò Ciepło ‒, sarà meglio che mi sbrighi… Non vorrei che i nostri amici arrivassero troppo presto e si rovinassero la sorpresa…». Il dottore si tastò il microfono nell’orecchio «Armate le testate e tenetele pronte per il lancio in qualsiasi momento. Io sto per venire in sala di comando. Per quando sarò lì voglio che nessuno si trovi vicino ai comandi di lancio, ripeto, nessuno, come da protocollo: solo io, che sono comandante in capo, devo poterci accedere. Tutto chiaro?»
«Chiaro, signore» rispose un tecnico, cento metri di roccia calcarea sotto di lui.
Lo scienziato buttò allora a terra l’ultimo sigaro schiacciandolo col piede, inspirò profondamente l’aria fresca della sera e diede un’intensa occhiata alle prime stelle che proprio in quel momento iniziavano a intarsiare il cielo crepuscolare. Brillarono anche sui suoi occhi umidi.
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