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  • Immagine del redattorePietro Calore

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Aggiornamento: 13 gen 2021


Il Presidente si rigirava nervosamente nel letto bianco, rimestando i pensieri che nevrotici gli impedivano di dormire da diversi giorni. Si copriva spesso il volto con le mani sottili, schiacciate sugli occhi quasi a volerli soffocare, ansimando, alzando i gomiti che tiravano il tessuto candido della vestaglia. Intanto le lenzuola si impregnavano sempre più di sudore, rendendogli la situazione oltremodo insopportabile. Decise quindi di alzarsi per sgranchirsi le gambe, aggirandosi nel buio della stanza. Erano le 4:00 del mattino, gli segnalava quasi a rimprovero l’orologio luminoso sul soffitto. Doveva riposare: non aveva più 200 anni. Si sdraiò di nuovo, prono, il lungo naso quasi conficcato nel cuscino. Si mise a recitare mentalmente la cantilena di bestemmie che sua nonna gli aveva insegnato da piccolo. Che piacere gli procurava, una vera liberazione. Questa volta funzionò, la sua mente tacque.

Riaprì gli occhi solo nel pomeriggio, attorniato dal Consiglio che lo attendeva per il check politico quotidiano. Chiese loro di aspettarlo nella sala consiliare. Quando entrò c’era la stessa dannata tensione delle ultime settimane. Lo percepiva a pelle mentre camminava dietro le sedie, tamburellando con le unghie sugli schienali fingendo di ascoltare. Un grave non detto pesava tra i membri dello staff, il Presidente lo sapeva bene, non poteva più tacere la questione. Il suo ego non avrebbe tollerato oltre quella sensazione di sfiducia nei suoi confronti, tra l’altro per lui del tutto nuova. Insomma, non se la meritava! Ma non poteva deciderlo da solo. Uscì nel mentre che gli altri cervelloni bisticciavano con fine dialettica su qualche sciocchezza e si infilò nella sua stanza. Sistema lo stava già aspettando. La sinuosa linea dorata si scrollava a mezzaria nel mezzo dell’ambiente mormorando bestemmie: voleva metterlo subito a suo agio.


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