La navicella lasciò la Spianata delle Moschee senza che nessuno dei presenti o degli spettatori attorno al mondo avesse capito alcunché di quanto era successo. L’umanoide, appena avuto risposta dalla leader israeliana, vi era corso dentro ed era ripartito a velocità più che ipersonica in direzione nord-ovest. I satelliti di comunicazione e militari riuscivano a stento a starle dietro, mentre solcava le acque del Mediterraneo. Se non stava tornando nello spazio, dove era diretta? E perché? Si chiedevano politici, capi di stato maggiore, soubrette… Solo Papa Clemente XV lo sapeva.
In uno stato misto di terrore ed eccitamento, si alzò dalla poltrona, si rinfilò l’anello pastorale che prima aveva malinconicamente lasciato su un tavolo vicino, corse (per quanto gli era concesso dall’età) nella sala degli abiti di rappresentanza e si agghindò, per quel che poteva, coi più bei paramenti, facendosi aiutare dalle poche e irriducibili ̶ ma sempre più perplesse ̶ guardie svizzere rimaste, del resto ancora completamente all’oscuro di quel che era successo e sarebbe successo di lì a poco.
Intanto la premier israeliana cercava di spiegare il breve colloquio intrattenuto con l’umanoide al resto dei capi di stato. La discussione concitata tra i leader venne ripresa dalle telecamere di tutto il mondo, aumentando se possibile la confusione e l’agitazione dei media internazionali. Le ipotesi più assurde prendevano rapidamente piede e, spacciate come “notizie dell’ultima ora”, uscivano a raffica nella fascia bassa degli schermi televisivi e dei siti di informazione. Sicuramente la più interessante e la più sensata era che l’umanoide fosse il rappresentante di una colonia umana arrivata direttamente dal futuro tramite qualche macchina del tempo o motore a curvatura. I capi di stato decisero che la cosa migliore fosse «mettere subito le cose in chiaro» coi media, per evitare incidenti o reazioni pericolose tra la popolazione. In fin dei conti, pensarono, ciò che era accaduto poteva essere interpretato dall’esterno come un atto di ostilità. Infine si accordarono per risalire tutti in elicottero e precipitarsi a Roma.
Preso per ultimo il bastone pastorale, Clemente XV era sceso in fretta nella piazza San Pietro deserta delle prime ore del mattino. Camminandovi forsennatamente su e giù, teneva lo sguardo fisso verso il cielo, facendo preoccupare non poco le guardie svizzere per la sua salute mentale e fisica: ma cosa stava facendo? Che guardava? Poteva cadere e rompersi qualcosa! Ma il Papa interruppe i loro pensieri ordinando che si piazzassero con la Gendarmeria attorno al colonnato: sarebbe arrivata un sacco di gente ̶ diceva ̶ dovevano impedire l’accesso. Seppur titubanti, obbedirono.
Fecero appena in tempo a piazzarsi che un luce bluastra illuminò il cielo sopra la Piazza: una gran folla di romani si assiepò alle sue propaggini. Clemente XV stava da solo, nel mezzo, vicino all’obelisco e, col naso all’insù, ripassava mentalmente gli antichi ma approfonditi studi di ebraico. La navicella scese lentamente e atterrò come a Gerusalemme. Questa volta però l’umanoide non perse tempo: corso fuori, gettò il casco e si accasciò ai piedi del Pontefice. Prorompendo in lacrime di gioia, gli indicava il crocefisso del pastorale e di rimando la croce che lui stesso portava incastonata sul petto, sopra quello strano elemento della tuta spaziale che alla premier israeliana e al Papa, poco prima, aveva ricordato in tutto e per tutto il pettorale tipico degli antichi Sommi Sacerdoti ebraici. Appena questi riuscì ad articolare qualche frase, Clemente si accorse di non essere affatto arrugginito in ebraico «Dopo duemila anni, duemila anni, duemila anni…! Come ci aveva promesso l’angelo! Che l’esilio era finito! Che noi figli di Dio potevamo tornare! Che la colpa di Adamo era stata espiata, che il Messia era arrivato e che era il figlio di Dio, che era Uomo-Dio, che aveva questa forma ‒ diceva indicando le croci ‒, che se fossimo tornati avremmo conosciuto tutta la verità…! Abbiamo avuto fede per duemila anni, Sommo Sacerdote, per duemila anni! Senza più rivelazioni, solo questo segno e quelle poche parole che non capivamo! Ma ora siamo qui, Sommo Sacerdote: insegnaci la vera Fede nel Messia Gesù!».
Clemente XV scoppiò anche lui in pianto e si abbracciò con l’uomo ̶ ormai era chiaro ̶ che aveva davanti. Quell’esperienza non gli risultava poi tanto “aliena”... L’aveva vissuta così spesso in missione in Cina o in confessionale ovunque nel mondo: semplicemente un popolo, un’anima che cercavano Dio. L’unica differenza era che, quella volta, anche lui sentiva di averlo rincontrato, e, con lui, l’umanità.
Origliando i commenti dei cronisti Rai sopraggiunti in quel momento, sentì che la flotta aerea dei capi di stato si stava dirigendo verso Roma. Dopo aver risollevato l’alto uomo e averlo benedetto, alzò lo sguardo, le braccia e il pensiero al cielo «Ascoltatemi, o isole, / udite attentamente, nazioni lontane; […] Dice il Signore, / il redentore di Israele, il suo Santo, / a colui la cui vita è disprezzata, al reietto delle nazioni, / al servo dei potenti: /«I re vedranno e si alzeranno in piedi, / i principi vedranno e si prostreranno, / a causa del Signore che è fedele, /a causa del Santo di Israele che ti ha scelto».
FINE
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