FC 3E5
- Pietro Calore
- 27 set 2020
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 2 gen 2021
Dentro sé e al contempo davanti a sé, sotto la forma di quella sofferenza profonda, percepiva e capiva l’immenso peso della sua colpa: ne esperiva l’entità e ne comprendeva la natura, la collocazione, in un certo senso, nell’ordine del mondo… Un’esperienza impossibile da dire, da pensare in modo discorsivo, pur essendogli perfettamente trasparente, in una sorta di chiara e distinta intuizione. Era come vedere un umbratile bagliore promanarsi nello spazio a partire da sua madre, mentre annebbiava un’eterea luminescenza che altrimenti lo pervadeva. Questo bagliore sembrava richiamargli l’immagine di sua madre, come disegnata, grigia anch’essa, piegata su di sé, con le braccia strette al petto in una condizione di miserevole prostrazione. Era colpa sua se lei si trovava in quella condizione: questo più di tutto gli era chiaro, assieme al fatto di meritarsi completamente quel dolore. Si ricordò allora di aver risposto a malo modo anche a sua madre quella sera. Più si avvicinava a quel momento nello scorrere contrario della sua vita e più gemendo implorava se stesso di non farlo, di fermarsi, di riflettere. Ma per quanto si sforzasse non aveva modo di impedirlo.
La giornata retrocedette in un continuo di vertici più o meno acuti di dolore. Scoprì il male insito in molti aspetti della sua vita, lo comprese, lo vide tramite questo nuovo senso, questa sorta di occhio interiore: un ammontare di egoismi, di viltà, di meschinità, di volgarità. Si divertiva lui, a bestemmiare coi suoi amici mentre passeggiava in centro città, credendo di illuminare il mondo con la sua arguzia e la sua bellezza bohémien. Quanta oscurità, invece, diffondeva attorno a sé! Quante persone perfettamente sconosciute trascinava in tal modo in un buio ancora più profondo di quello che già si erano procurate da sole. Che luce, invece, si promanava dalle Chiese e da certe persone che, solitamente, quando passava loro accanto per strada, ignorava, se non per deriderle. Ora avrebbe voluto entrarvi o abbracciarle giusto per liberarsi un poco da quel buio atroce che lo affliggeva come soffocandolo nel dolore, e così liberare coloro che per colpa sua soffrivano già più di quanto fosse loro destinato… ma non poteva. Non poteva! Avrebbe almeno voluto scappare da quella compagnia, che innescava quel circolo vizioso di dolore alimentando le sue vanità. Di che rideva ̶ si ripeteva affannato ̶ per quei racconti osceni che si facevano tra loro?! Di che si compiaceva per quei pensieri voluttuosi che l’un l’altro si divertivano a stuzzicare?! Loro… Uomini vissuti!
Ogni nuovo dolore indicava il sopraggiungere di una colpa che poi inesorabile gli si delineava davanti con ineffabile chiarezza: nessuna lo risparmiava né si mischiava con le altre, il che aveva dell’incredibile per la quantità e la qualità con cui si rincorrevano e si assommavano. Se avesse mai provato tanto dolore nella vita normale ne sarebbe morto. E certamente, seppure in quello stato disincarnato, alla lunga la sua fine spirituale non sarebbe stata molto diversa da quella di un corpo agonizzante che il perdurare della sensibilità condanni a fare esperienza della propria stessa putrefazione.
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