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  • Immagine del redattorePietro Calore

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Aggiornamento: 2 gen 2021


«Sono diventato tipo la res cogitans di Cartesio, l’Iopenso di Kant, l’anima di Platone, l’anima...» l’angoscia riuscì a far riemergere in lui pensieri inquietanti ormai da molti anni sepolti nella sua coscienza, sotto quintali di “letture intelligenti”: «… del Cristianesimo…?». No, questa opzione era decisamente da scartare. Da quel poco che si ricordava dal Catechismo non gli sembrava ci fosse scritto da nessuna parte che il mondo si sarebbe messo ad andare al contrario. Gli baluginò tuttavia nella memoria un’antica eresia del cristianesimo che aveva da poco studiato, l’eresia della «apokesista… apokatistasi… No aspetta aspetta… è una parola composta – recuperò il greco delle superiori –: allora una preposizione, “apo” “indietro”, e un sostantivo “kata-stasis” “istituzione”, a-po-ka-ta-sta-si! Eccola!».

Che tutto il creato stesse tornado indietro al Creatore, a Dio? In un certo senso questa opzione parve consolarlo: se alla fine della fiera avesse avuto ragione un’eresia… la sua piccola vittoria sui bigottoni l’avrebbe comunque avuta. «Ma che sto dicendo… ̶ si rimproverò immediatamente ̶ …qui sta accadendo qualcosa di grosso! Nessuno dei miei stramaledetti filosofi francesi l’aveva mai previsto, mentre forse c’ha azzeccato uno schifosissimo monaco con un cesso di nome, dell’età più cessa di quel cesso di età del medioevo!». Parlava ovviamente del povero Giovanni Scoto Eriugena, teologo dell’VIII secolo: «Cioè ma mi spiego??? Di quando si moriva mediamente a quarant’anni e l’Europa era una foresta se andava bene e una cazzo di palude sa andava male!».

Non ne usciva: si accorse proprio allora che non aveva neppure le categorie filosofiche per interpretare quello che gli stava accadendo. Se almeno avesse studiato bene «…quella cavolo di apocacosa…» si rimproverò, avrebbe potuto verificare se collimava o meno con ciò che aveva vissuto e che avrebbe vissuto. Avrebbe voluto riprendere in mano il manuale di filosofia medievale o la Bibbia o quel vecchio libretto del catechismo che conservava, «Che poi non so neanch’io perché…», forse per ricordo, sullo scaffale più alto della scrivania. Ma non poteva. Cercò di spaziare nei suoi ricordi, di fare mente locale sui suoi “studi” braminici e buddisti ma nulla di quel poco che ricordava gli era d’aiuto. Fu un costante rincorrersi di pensieri, un misto di disperazione e autocommiserazione, di rimorsi, rimpianti, recriminazioni.

Con sempre maggior violenza si faceva largo in lui una consapevolezza terribile. Al netto dei piccoli e grandi piaceri quotidiani e occasionali la sua vita fino a quel momento non aveva acquisito un valore di per sé. Lui aveva sempre vissuto per studiare, sembrare figo… insomma: per accrescere la propria autostima. Aspettava il fine settimana per stare in compagnia, fumarsi una canna con gli amici, passare una bella serata con qualche tipetta che ci stava. Nell’ultimo periodo stava anche cominciando a raggranellare qualche soldo, a farsi dei progetti… Certamente l’idea di passare anni in quella condizione, di perdere tutto questo, lo sconvolgeva e preferiva non soffermarvisi. Ma ora il pensiero che veramente lo tormentava era un altro: che nessuna esperienza delle molte che aveva vissuto nella sua vita, in quel momento, era in grado non tanto di spiegargli cosa stesse succedendo, quanto di dargli un vero motivo per vivere.


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