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Immagine del redattorePietro Calore

FM 1E1

Aggiornamento: 13 gen 2021


Lo scienziato guardava l’oceano correre giù dal finestrino oscurato dell’elicottero. Vi appoggiava la fronte con fare sconfortato e i suoi occhiali dalla grossa montatura nera ci premevano contro. Respirava profondamente, annebbiando un poco il vetro, mentre col pensiero ripassava quel che gli era successo in quelle ultime ore mattutine, non senza cercare di indovinare cosa avrebbe potuto capitargli una volta arrivato ovunque lo stessero portando. Non aveva neppure fatto in tempo a portarsi via una giacca o un giubbotto e gli sembrava si stesse andando parecchio a nord.

«Forse a un certo punto apriranno lo sportello, mi prenderanno per le mani e per i piedi, mi butteranno di sotto e tanti saluti dottor Anastasios!» pensò, sbuffando più del solito. Proprio in quell’istante uno dei due piloti si voltò verso di lui facendo intendere a gesti di volergli chiedere se andasse tutto bene. Anastasios sollevò indolentemente il braccio destro, che fino a quel momento aveva fatto ciondolare, mise in bella mostra il pollicione in su e alzò la testa stampandosi in faccia un bel sorriso ammiccante. Il pilota ebbe una reazione divertita e tornò ai comandi. Lo scienziato allora lasciò subito ricadere il braccio e la testa, roteando gli occhi «Seh…».

L’elicottero intanto sfrecciava sopra degli iceberg in direzione di una costa grigia sotto un cielo grigio. «Mah sarà la Groenlandia…» ragionò tra sé e sé Anastasios, ma per quel che lo riguardava poteva pure essere il Canada o le Fær Øer… Da buon fisico aveva sempre odiato la geografia «…e poi ‘sti posti sono tutti uguali! Sarà per questo che ci nascondono le basi militari».

Pochi minuti dopo cominciarono la fase di atterraggio. Anastasios si strinse forte al petto la valigetta in pelle con le dataschede. Appena ebbero toccato terra, due militari aprirono con decisione il portellone alla sua destra e gli si avvicinarono «Si metta questo cappuccio nero in testa per favore, le spiegheremo tutto a breve, le porgiamo le nostre scuse».

Ripresosi dal trauma dell’aria gelida, Anastasios si sorprese del tono quasi amichevole di quegli energumeni. Si mise, esitando un poco, il cappuccio ‒ l’aveva già messo all’andata, prima di essere caricato in elicottero, e non gli era affatto piaciuto ‒ dopo di che strinse di nuovo forte la valigetta. I due lo presero da sotto le braccia e lo condussero fuori. Entrarono quasi subito in un ambiente riscaldato e, gli parve di intuire, poco illuminato. Dopo una lunga e tortuosa camminata su di una cigolante griglia metallica, entrarono in un ascensore. Da quel che sentiva intuì che per entrare avevano compiuto qualche processo di riconoscimento.

«Beh, insomma, stiamo scendendo parecchio!» non terminò il pensiero che la cabina si fermò. I due lo portarono fuori dall’ascensore: c’era nell’aria un profumo intenso di dopobarba. Gli tolsero il cappuccio e, fatto il saluto marziale all’assemblea, se ne andarono rapidamente. Anastasios, in posizione semi fetale, con la valigetta ancora stretta al petto, alzò lo sguardo: aveva gli occhi di tutti addosso. Non riuscì a pensare niente di meglio «Non mi sono neanche pettinato stamattina!».


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