FM(C) 2E3
- Pietro Calore
- 5 set 2020
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 11 apr 2022
Ian si avvicinò al lettino con delle movenze cadenzate, che tradivano il suo tentativo di mettere ordine ai pensieri che gli incupivano lo sguardo e gli incurvavano la schiena. Chinatosi ulteriormente su di esso, si mise ad accarezzarne la fredda superficie metallica, illuminata dai fari sul soffitto, simili a quelli delle antiche sale operatorie, di quando ancora ci si faceva mettere le mani addosso da chirurghi umani, pensò. «Se tutto andrà bene ‒ si disse ‒, faremo l’ultimo passo avanti: neppure i chinurghi serviranno più. Ma che dico! Chiuderanno proprio gli ospedali! Già… se tutto andrà bene… Forse dovrei attendere ancora, forse un modo per tornare indietro si potrebbe ancora trovare alla fine! Non sarò troppo precipitoso come al solito?». Ian fu sul punto di desistere ma qualcosa dentro di lui lo spingeva irresistibilmente ad andare fino in fondo: forse la profonda disperazione che ormai lo attanagliava. Ritornò allora quel pensiero che aveva lasciato cadere all’ingresso del “rifugio”: forse il suo era un inconscio tentativo di suicidarsi. Ma non aveva il coraggio di dirselo fino in fondo, il suo orgoglio non lo tollerava.
A un certo punto, mentre osservava l’ipnotica superficie del lettino, si guardò nel riflesso deformato e contemplò i bei tratti giovanili di cui tanto si gloriava. Ringalluzzito fece un profondo respiro e, data una pacca al lettino, se ne allontanò rapidamente in direzione dello “sgabuzzino” in fondo alla stanza. Qui si spogliò deponendo con ordine i vestiti, e indossò la tuta simbiotica. Tornato nella stanza, si sdraiò speditamente sul lettino. Chiuse gli occhi: da quel momento non doveva fare più niente. Se fosse tornato a vedere, lo avrebbe fatto con gli occhi della mente. Le strumentazioni biomediche si collegarono alla tuta come da protocollo, inondando il sistema circolatorio simbiotico con le soluzioni idratanti-narcotiche necessarie a preservare almeno per un poco il corpo e a indurre il livello di incoscienza atto all’immersione nel Sogno. Queste soluzioni, filtrando nell’organismo di Ian tramite la tuta come attraverso una seconda pelle, ottennero ben presto il risultato prefissato: d’altra parte, in caso contrario, sarebbe scattato un meccanismo salvavita. Sul capo immobile e umidiccio calarono allora, come le zampe di un ragnom gli elettrodi luminosi. Il corpo, da molle che era, ebbe d’un tratto un sussulto e si irrigidì arcuato, per poi afflosciarsi lentamente sulla schiena. Gli occhi sotto la pellicola rosacea della tuta erano ancora ben serrati: Ian tuttavia ci vedeva benissimo, meglio che mai.
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