Ian, o meglio la sua mente, galleggiava nuovamente nel vuoto interstellare. Pur in quello stato etereo si figurava di essere come in posizione fetale. Rimuginava sul sentimento di vuoto e di disperazione che tutta quell’esperienza gli stava procurando. Non era vero che l’idea di essere il “figlio di un dio minore”, se non il nipote o il pronipote di un simulatore di universi, l’aveva lasciato indifferente. A livello cosciente non poteva non dirsi soddisfatto, e continuava a ripeterselo: aveva visto meraviglie cosmiche come nessun altro prima di lui, aveva incontrato un essere intelligente che lo aveva confermato nel suo materialismo, nel suo ateismo… Ma nel profondo tutto ciò gli sembrava effimero se non deteriore: più ci pensava, sperando di trarne conforto, più invece sembrava caricarsi di un peso inconscio insostenibile. Insomma, tutto prima o poi sarebbe finito per lui, con la morte. Ma poi cosa sarebbe finito? Una vita che forse non era neanche vera? «Insomma… vera sul serio! Non c’è senso in tutto questo… mi toglie il fiato!».
Si faceva largo in lui un pensiero sempre più minaccioso e suadente insieme: realizzare il suo Sogno. Che non consisteva semplicemente nel viaggiare nella mente di Quanto, come aveva detto al Comitato Internazionale e nei suoi saggi, bensì nel trasferirvi la sua stessa mente, per assumerne il controllo. La prospettiva dell’eternità si apriva così davanti a lui in un modo che lo consolava intimamente, lenendo le misteriose ferite che laceravano il suo enigmatico subcosciente.
Per farlo avrebbe dovuto eseguire delle procedure di salto quantistico mai testate prima di allora sull’uomo e che lui stesso con gli altri scienziati della base aveva terminato di definire proprio quella sera. Nel trasmettere i dati alla base di ricerca che stava lavorando su Wave, in Israele, aveva appositamente corrotto i dati per non correre il rischio che altri potessero bruciarlo sul tempo. Poi, giusto per non lasciare nulla al caso, si era portato via tutti i dati corretti nel dischetto con cui aveva aggiornato Quanto, privando così i suoi stessi colleghi del frutto delle ultime sessioni sperimentali. Certo, avrebbero potuto recuperali ma perdendoci almeno una giornata, tempo che ora gli tornava molto utile.
Ian aveva vissuto tutto quel viaggio astrale, che nella vita reale avrebbe richiesto per lo meno un paio di settimane, in meno di diciotto ore. Erano le 15:00. Lo scoprì quando chiese a Quanto di poter tornare nella stanza del “rifugio” dove il suo corpo giaceva in psicostasi: la prima cosa che gli venne spontaneo fare fu di guardare l’orologio appeso al muro. Venne tuttavia presto catturato dalla vista di sé sdraiato sul lettino e coperto dalla membrana molliccia della capsula psicostasica. Voleva dire addio al suo corpo, salutarlo per sempre. Non vi sarebbe mai più rientrato, sia che l’esperimento fosse andato bene che male.
«Vuole procedere?» gli si rivolse Quanto, con la sua voce meccanica («Tra le tante cose a questa non c’abbiamo pensato proprio…» si disse Ian).
«Sì. Avvia le procedure di salto quantistico» si affrettò a rispondere lo scienziato, che paradossalmente, potendo farlo, scelse di restare ad assistervi. Non sapendo cosa avrebbe provato al momento del trasferimento, decise di non pensarci, distraendosi commentando tra sé e sé i vari passaggi delle procedure.
A seguito del comando, sul capo di Ian calò, simile a una cappa, il “copia-cervelli”, come l’avevano amabilmente soprannominato i suoi colleghi: niente di meno che il rilevatore quantico di ultima concezione (di concezione di Ian, in effetti) che, giovandosi delle miracolose doti di calcolo di Quanto, avrebbe trascritto e integrato la sua mente nei circuiti di Quanto stesso. Il tutto, sfruttando le doti apparentemente magiche di sovrapposizione quantistica della materia elementare, di cui anche i cervelli umani, ed Ian non faceva eccezione, sono fatti. In parole povere, il rilevatore avrebbe registrato le proprietà quantistiche di ogni atomo del cervello di Ian, traducendo in Qbit e ricombinando poi l’ammontare dell’informazione raccolta sotto le spoglie di un vero e proprio sistema operativo. La mente di Ian a quel punto sarebbe stata installata a capo del software di Quanto, di cui avrebbe così preso il controllo.
Ian non fece a tempo di terminare quest’ultimo pensiero che in un istante di indicibile vertigine acquisì il controllo del supercomputer.
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